Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Le vite degli altri ci servono per costruire la nostra identità

Fonte: L'Unione Sarda
12 dicembre 2013


Il filosofo cagliaritano stasera al Marina Cafè Noir con il suo ultimo libro

 

Remo Bodei: la salvezza è intrecciare fantasia e realtà

 


Diceva Joseph Conrad: «Come spiego a mia moglie che quando guardo dalla finestra sto lavorando?». Immaginava altre vite, materia per le sue storie, l'autore di “Cuore di tenebra”, ed esercitava così al massimo grado una facoltà della quale nessun uomo può fare a meno. Benedetto Croce riteneva l'immaginazione pericolosa, Robert Luis Stevenson, al contrario, era convinto che fosse il campo dove si svolge la vera vita. Una finestra da cui guardare per sfuggire ai nostri ristretti confini e porre rimedio alla limitatezza dell'esistenza.
Remo Bodei - grazie alla cui profonda leggerezza “tendono alla chiarità le cose oscure” - tratta questo tema affascinante, così connesso alla nostra identità, nel suo “Immaginare altre vite. Realtà, progetti, desideri”, edito da Feltrinelli, 263 pagine per 18.70 euro. Il filosofo cagliaritano, ordinario di Storia della filosofia all`Università di Pisa, visiting professor alla Ucla di Los Angeles, tornerà stasera nella sua città per discuterne con l'antropologo e scrittore Giulio Angioni. L'appuntamento, alle 19, Hotel Regina Margherita, per “Marina Cafè Noir”: luogo dove l'immaginazione, da undici anni, ha conquistato felicemente il potere.
Professor Bodei, come nasce questo libro? E che cosa lo ha spinto a scriverlo?
«Il problema che mi sono posto è come ciascuno di noi, trovandosi dinanzi a un mondo già fatto dalle generazioni che lo hanno preceduto, riesce a diventare se stesso e a orientarsi nella realtà. Venire al mondo significa entrare a far parte di un ordine composto da istituzioni, poteri, saperi, regole e tradizioni di durata spesso millenaria. Implica l'apprendimento della lingua, l'assunzione di modelli culturali, l'inserimento nei sistemi familiari, educativi, economici, religiosi, politici. Ho scelto la via dell'immaginazione per continuare un percorso già intrapreso da tempo, che consiste nell'individuare forme di razionalità anomala in campi che sembrano esserne privi, come le passioni o il delirio».
Che cosa è l'immaginazione, come la valuta?
«L'immaginazione gode di una fama ambigua. È una facoltà che tutti possediamo, sperimentiamo nei sogni, esercitiamo nel formulare ipotesi. Da un lato è connessa all'idea di fuga dalla realtà; dall'altro, svolge una funzione vitale nel trascendere la realtà così com'è, nel promuovere la creatività non solo sul terreno artistico e scientifico, ma anche su quello delle scelte e delle pratiche quotidiane. In sostanza, ci aiuta a sfuggire ai nostri orizzonti ristretti ma ci aiuta anche a capire chi vorremmo essere: un'armonica collezione di qualità prelevate accuratamente da personaggi (reali o fantastici), migliori di noi? Un cantiere aperto? Oppure, un altro “me stesso, ma riuscito”, come rispose François Mauriac al giornalista che gli chiedeva chi avrebbe voluto essere, se non fosse stato un scrittore, un premio Nobel?».
Come sono cambiati nel tempo i contenuti e le funzioni dell'immaginazione?
«Oggi è enormemente aumentato il peso della letteratura, dei media e delle immagini in grado di impollinare incessantemente l'identità di ciascuno. Basti pensare alle ore che i bambini passano davanti alla televisione, e gli adulti su Internet. Del resto, già Madame de Staël, due secoli fa, aveva affermato che ormai non proviamo nulla che non ci sembri di aver già letto da qualche parte. Al pari di molte esperienze dirette, la lettura o il teatro spalancano nuovi mondi, inoculano idee, passioni, sensazioni che altrimenti ci sarebbero precluse o ci resterebbero inconcepibili, sfuocate o fraintese».
I rischi dell'immaginare?
«Che il fantasticare consista in un trastullarsi inoperoso, o diventi un compiaciuto vagare della mente in progetti irrealizzabili. Eppure, per renderci conto di quel che vorremmo essere, per conoscere noi stessi, dobbiamo inevitabilmente immaginare altre esistenze. Nell'abbandonarsi troppo all'immaginazione si corre, tuttavia, anche il pericolo e la tentazione di fuggire dalle proprie responsabilità. È possibile proteggere il senso della realtà dal pericolo della sua diluizione nella fantasia? O bisogna, al contrario, considerare il principio di irrealtà come portatore dell'esigenza insopprimibile di distanziarsi, perlomeno provvisoriamente, dal mondo reale, un atteggiamento che è, per certi aspetti, perfino benefico?».
La salvezza?
«Non consiste nel rifiutare l'esperienza dell'irrealtà, nel cercare di immunizzarsi nei confronti della fantasia e del desiderio. L'ideale sarebbe semmai quello di poter intrecciare la fantasia, più lieve e inventiva, con il senso della realtà, con il più grave richiamo alla serietà dei condizionamenti».
Un tempo avevamo meno modelli sui quali costruire la nostra identità, ma erano più alti…
«I modelli sono stati tradizionalmente quelli dei genitori o dei maestri, ma poi in ciascuno se ne sono sovrapposti altri: gli eroi, i santi, i saggi o i filosofi. Oggi sono, soprattutto, rappresentati dai personaggi celebri di cinema, tv, sport. Una fama effimera, la loro. Del resto, la parola celebrità sembra derivare proprio dal latino celeris, veloce. Sono idoli (familiari o irraggiungibili, ma capaci di creare attorno a sé un'illusione di intimità) che assomigliano a prodotti industriali in serie. Rispetto al passato, la molteplicità dei modelli rende più difficile la costruzione di se stessi, ma, per chi ne è capace, perfino più ricca. Anche la politica soffre di una carenza di immaginazione creativa e sembra condannata a girare in folle».
Chi immaginava di essere, da ragazzino, Remo Bodei?
«Non ricordo di essermi mai posto il problema fino all'anno della maturità (forse ero incosciente o lo spettro di una futura disoccupazione non aleggiava ancora). Fino all'ultimo sono stato incerto fra fisica, filosofia e ufficiale di Marina…Poi ho lasciato che la vita facesse il suo corso e fosse corretta in corso d'opera».
Maria Paola Masala