Lirica. Il baritono romano venerdì al Lirico di Cagliari nel ruolo con cui debuttò al Maggio Fiorentino
Roberto Frontali: un'opera venata di malinconia
A Berlino lo chiamano der fliegende Italiener, l'italiano volante, per via di quella recita della Traviata che qualche anno fa lo vide cascare dal palcoscenico sulla testa di un malcapitato cornista. «Alla fine dell'atto di Flora, dovevo seguire una luce rossa, ma evidentemente non ci siamo capiti e sono precipitato nel golfo mistico». Il corno diventò un piatto, ma sia il musicista che Roberto Frontali-Germont se la cavarono con uno spavento. «Cose che capitano», ride il baritono che venerdì sarà sul palcoscenico del Lirico di Cagliari per la prima di Evgenij Onegin , proposto nell'allestimento del Mariinskij di San Pietroburgo. Per Cagliari è un debutto assoluto, non lo è per il quarantanovenne cantante romano che rivestì il ruolo del titolo, otto anni fa, al Maggio Musicale Fiorentino.
Una risata contagiosa e una sobrietà pari all'ironia, Frontali è stato a Cagliari un impareggiabile Figaro (il suo ruolo più famoso) e un affascinante Conte di Luna. Ora ritorna, a sei anni dal Trovatore di Federico Tiezzi, con il capolavoro di Caikovskij.
Un ruolo complesso, da scavare nel profondo.
«È interessante il rapporto di Onegin con la vita, la descrizione della noia e dello snobismo dell'aristocrazia. Diciamola tutta, questo Evgenij modaiolo di San Pietroburgo che respinge l'amore appassionato di Tatiana e si permette di farle quasi una predica, proponendole un amore fraterno, è orribile. Onesto con se stesso e con lei, certo, ma pessimo. Poi gli succede di uccidere in duello l'amico fraterno, di ritrovare Tatiana molti anni dopo sposata con un principe. Di innamorarsi perdutamente di lei, di perderla perché lei, più saggia, pur amandolo da una vita ha fatto la sua scelta».
Un'opera venata di malinconia. Che sotto la guida di Mikhail Yurowsky acquisisce una lettura più profonda.
«Il Maestro ha una sapienza, una ricchezza di sfumature che gli deriva dalla conoscenza diretta dell'anima russa. Noi spesso vediamo tutto filtrato dai direttori occidentali, lui sa quale è l'interpretazione vera dell'opera. Ne è un testimone. E infatti non fa che dirci: “Se vuoi conoscere il vero Onegin devi sentire le registrazioni di questo o di quello...”».
La regia?
«È essenziale, del resto la musica ti guida, definisce le emozioni, detta i tempi. Non c'è bisogno di molto. Certo, qui i balli non si vedono mai, sono sempre nella stanza accanto, accidenti! Ma davvero non c'è bisogno di molto. Una cosa curiosa riguarda le betulle: in tutte le opere russe che ho fatto, Onegin , La dama di picche , ce n'è una grande quantità. Me le fanno trovare anche dentro le stanze. Divertente».
Dopo Cagliari?
«Volo a New York, tre mesi al Metropolitan, per una Adriana Lecouvreur che intende rendere omaggio a Placido Domingo: lì, tanti anni fa, sostituì Franco Corelli. Lì tornerà a cantare adesso. Poi farò Rigoletto , sempre a New York, e lo riproporrò a Madrid. e concerti a Dresda, e una serie di Simoni (Boccanegra) a Ginevra e Palermo».
Un ruolo che non lo ha ancora visto protagonista?
«Due verdiani: Macbeth e Otello , nel primo debutterò fra due anni, il secondo non so. Mi dicono che sono sempre troppo buono, bisogna che cambi».
Lei è laureato in Economia e commercio. Poi dalla Sapienza è passato al Conservatorio...
«Ho sempre amato la lirica, a tredici anni scoprii la Cenerentola di Rossini che mi aprì un mondo. E Rigoletto , cantavo tutti i ruoli. Ma in facoltà cantavo De André, le canzoni di lotta. Fu il maestro del coro polifonico universitario a suggerirmi di andare al Conservatorio. Lo feci ma senza grande entusiasmo, c'erano troppi ragazzini. Dopo tre anni ho mollato. E ho proseguito gli studi di canto col maestro Renato Guelfi».
Nell'85 arriva la laurea e cominciano i concorsi. Quelli canori e quelli in banca....
«Alla fine di ogni colloquio mi chiedevano che hobby avessi, io rispondevo canto, finiva sempre che chiudevo con Cortigiani, vil razza dannata...».
Una bella soddisfazione, ma non è da tutti...
«E già. In banca non mi hanno voluto, per fortuna. A Spoleto sì, nell'86 ho vinto il concorso ma non me la sono sentita di debuttare con Rigoletto . Ho scelto, al Festival dei due mondi, il ruolo di un ubriaco nella Santa di Bleecke Street di Giancarlo Menotti, mi venne benissimo».
Poi la svolta con “Agnese di Hohestaufen” di Spontini, con Montserrat Caballè davanti alla quale lei restò senza parole.
«È vero, che voce. Mi avevano affidato il ruolo del messaggero, ma il messaggero è anche il re di Francia, ha un ruolo importantissimo. Non saprò mai se all'Opera lo sapessero o no.. Per me fu l'inizio di tutto. La vedova allegra , Faust , i teatri nazionali e nel '92 Vienna e New York».
Ventitré anni di successo: i suoi punti di riferimento?
«Sempre gli stessi, Bruson, Nucci, Cappuccilli».
L'altra sera lei era in tv su Raiuno alla serata d'onore dedicata da Baudo all'opera...
«Sì, e devo dire che ci voleva lui per portare la lirica in prima serata...».
MARIA PAOLA MASALA
17/12/2008