Poesia, ideali e cinismo nella commedia di Alan Bennett al Massimo di Cagliari Uno spettacolo magistrale del teatro dell’Elfo con un grande Elio De Capitani
di Walter Porcedda
CAGLIARI Non c’è ”happy end” nella folgorante commedia contemporanea dell’inglese Alan Bennett, “History boys”, andata in scena mercoledì al teatro Massimo per il circuito regionale del Cedac (in replica sino a domenica). Piuttosto la netta e amara percezione di una società fondata sulla ipocrisia e le scorciatoie per raggiungere la meta agognata, cioè la scienza dell’apparire fatta di mezzucci e bassi compromessi, l’arte di barare e i trucchi per riuscire. L’importante è correre per arrivare. Così non serve la qualità di una formazione ma l’arte di arrangiarsi e vendersi (meglio, di sapersi vendere). Quanta parte della nostra Italia può rispecchiarsi nell’aula di liceo disegnata dallo scrittore britannico, e le cui vicissitudini sono rese avvincenti e convincenti nella messa in scena del teatro dell’Elfo, una delle rare compagnie a cui si deve il merito di allestire opere di contemporanei europei (dello stesso Bennett, tempo fa, allestì “Nemico di Classe”)qui firmato da Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Quest’ultimo poi giganteggia sulla scena nelle vesti di Hector, professore eccentrico e anticonformista che in lezioni fuori schema offre insegnamenti di poesia e cinema, ma allo stesso tempo con la scusa di accompagnare in moto il più belloccio della classe lo palpeggia. Un po’ personaggio d’altri tempi e un po’ macchietta, ma protagonista di un legame vero, intriso di complice teatralità con i propri allievi (i quali in una sorta di gara mettono in scena siparietti di film famosi). Questi poi sono ben diversi da come spesso genitori e professori se li immaginano. Più dotati di senso realistico dei loro docenti, persino cinici. Otto ragazzi (altrettanti giovani e formidabili attori: Giuseppe Amato, Marco Bonadei, Angelo Di Genio, Loris Fabiani, Andrea Germani, Vincenzo Zampa, Alessandro Lussiana, Giacomo Troianiello)esuberanti e pieni di vita vestiti in giacca e cravatta come si usa nei college inglesi, in questo caso quello pubblico di Leeds, che dopo la maturità si preparano ad essere ammessi alle università di prestigio come Oxford e Cambridge.
Così vorrebbe fortissimamente un preside piatto e borghesuccio(Gabriele Calidri), ma molto meno l’altra dirigente, la disincantata e rassegnata professoressa in odore di femminismo Dorothy Lintott (una brava Debora Zuin). Nel ruolo di trainer arriverà il giovane professor Irwin (Riccardo Bocci) che sostituendo nei fatti Hector impartisce pillole di saggezza come un filosofo ateniese al tempo dei sofisti insegnando a smontare ragionamenti, fornendo sempre soluzioni eccentriche e utili per fare colpo e, domani, carriera nella vita. Così si intrecciano in modo ambiguo giornalismo e storia, morale, politica e cultura. E le storie di un doloroso passato (Olocausto)si mescolano a quelle quotidiane fatte di turbamenti adolescenziali, pruriti sessuali, desideri, debolezze e frustrazioni dell’età che verrà. Tutto è raccontato con leggerezza sul filo intelligente dell’ironia. Si ride e si viene trascinati dal ritmo del racconto teatrale e dalla bravura degli interpreti che in quel micromondo degli affetti che è un’aula scolastica mimano e anticipano la vita reale che sarà ben più dura e crudele. E’ lì fuori da quelle mura che Hector, bersagliato dal perbenismo bacchettone per la sua omossessualità, finirà tragicamente i suoi giorni in un incidente stradale.