Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

«Il teatro? Non è un mestiere per ricchi»

Fonte: La Nuova Sardegna
4 dicembre 2013

 
Elio De Capitani parla di “History boys” del Teatro dell’Elfo, da oggi sino a domenica al Massimo per il circuito Cedac 
 

 
 
 
 




di Daniela Paba

CAGLIARI Forte dei premi più prestigiosi in Inghilterra e in Italia, arriva al teatro Massimo per la stagione del Cedac “The History boys”, commedia ironica e feroce come solo sa essere Alan Bennett, quello di “Nudi e crudi”. Da stasera (alle 20,30) fino a domenica (comprese due pomeridiane, giovedì alle 16,30 e domenica alle 19) sarà in scena nell'allestimento firmato da Elio de Capitani e Ferdinando Bruni per la compagnia Teatro dell'Elfo. E se la critica inglese gli ha tributato sei Oliwer Awards e tre Tony Awards, in Italia “The History boys” ha vinto tre Ubu e il Premio Le Maschere per la regia. Particolarmente apprezzato Elio De Capitani nei panni del professor Hector, racconta il successo inaspettato che dura ormai da quattro anni. Ma quanto c'è della grande tradizione inglese e della tradizione italiana in questo spettacolo? «Ci siamo rivolti alla nuova drammaturgia inglese proprio perchè – risponde Elio De Capitani – mette insieme il carattere naturalistico della tradizione con la narrazione epica europea. Il nostro teatro ha un'attenzione alla drammaturgia angloamericana in particolare. La mia prima regia era stata “Nemico di classe” nell'82 anche lì con una compagnia premiatissima in cui c’erano Paolo Rossi e Claudio Bisio. Lì era una scuola di periferia abbandonata, qui una scuola di provincia dove otto ragazzi coltissimi devono lottare contro quel qualcosa in meno che hanno rispetto ai rampolli dell'alta società inglese che vanno a dare gli esami con naturalezza e senso dello humor mentre loro, essendo provinciali, rischiano di essere un po' grezzi». La critica italiana le ha tributato un riconoscimento unanime per l'irresistibile interpretazione del professor Hector. Come ha lavorato al personaggio? «A me piace fare personaggi forti come il Caimano o Nixon. Hector invece è fatto di empatia e fragilità. Si esprime solo attraverso la poesia, i film, la piacevolezza del suo fare lezione; però non sa darsi risposte perché considera la propria omossessualità come una malattia che deve combattere, come qualcosa che lo abita negativamente. E' per questo che viene giudicato male dai ragazzi: perchè non è maturo, non è lucido a se stesso ma è capace d'insegnare. Si dice “predicare bene e razzolare male” ma è importante predicare bene.

Ti dà l'idea che puoi imparare anche dai disastri umani perché la passione per l'insegnamento lo salva». L'altro apprezzamento è stato per il gruppo dei giovani attori di meno di trent'anni... «Nel 2010 abbiamo fatto quattrocento provini aperti a tutte le scuole italiane di teatro. Ne abbiamo scelto diciotto: arrivano dal Piccolo, dalla Paolo Grassi, dall'accademia di Roma, quelle di Genova e Torino, dalla Puglia, dalla Sicilia, da Trieste. Su otto hanno otto origini diverse. E' stato un successo imprevisto perché pensavamo di farlo solo a Milano, un miracolo di trasmissione del sapere tra attori che hanno quarant'anni di esperienza e loro. La scelta di mettere la foto dei ragazzi sul manifesto è diventata epocale tanto che abbiamo deciso di tenerla. Ma il programma era proprio di mettere loro al centro». Non le sembra che i problemi del teatro italiano non siano legati tanto all'età ma alla possibilità di produrre, distribuire e mettere a confronto diverse generazioni? «Aprire il nostro teatro ai provini significa impedire che diventi un mestiere per ricchi, la grande arte può far diventare il teatro un mestiere per le nuove generazioni, una scelta che dovrebbe fare anche questo paese. Noi eravamo in una macchina che assorbiva i tre quarti delle nostre energie e per riequilibrare il bilancio abbiamo dovuto fare tagli incredibili e siccome non si poteva tagliare su affitto e luce, avremmo tagliato l'arte, il budget di produzione, ma così non saremmo sopravvissuti neanche un anno. Abbiamo deciso di metterci in gioco e siamo riusciti a convincere una banca a prestarci dei soldi per fare teatro. Io voglio essere finanziato per produrre l'arte che è poi quello che fa utile. Una follia sana».