di Francesco Ortu - Immunologo - Dirigente Medico AOU Cagliari
Redazionedomenica 1 dicembre 2013 10:01
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di Francesco Ortu - Immunologo - Dirigente Medico AOU Cagliari
Sono trascorsi ormai più di trent'anni dall'inizio dell'epidemia, circa venticinque dal mio coinvolgimento nella stessa (pur essendo ancora giovane!) e, nel corso di questi anni, si sono succedute diverse fasi durante le quali si è passati da una "malattia a prognosi invariabilmente infausta" (perdonate il termine tecnico), con una mortalità vicina al 100%, ad una "malattia cronica" curabile nel lungo periodo; parallelamente però è diminuito l'interesse, l'enfasi e la visibilità per questa giornata, conseguenza, forse, di questi avvenimenti.
Uno degli aspetti più rilevanti, in quest'ultimo anno, è rappresentato dall'evoluzione della terapia antivirale e dal raggiungimento della consapevolezza che l'infezione da HIV non è solo (e soprattutto non attualmente) una malattia da immunodeficienza (l'AIDS appunto) ma anche e soprattutto una malattia infiammatoria cronica che se non trattata comporta un maggior rischio di malattie secondarie (che gli esperti chiamano "non AIDS relate") e che espongono i pazienti ad un maggior rischio di patologie secondarie come le malattie cardiovascolari, i tumori, ecc. ed altre situazioni tipiche di un invecchiamento precoce che accompagna molte delle malattie croniche. Proprio da una maggiore conoscenza di tali condizioni, parzialmente corrette da una terapia antivirale efficace, si è arrivati ad una nuova visione della terapia stessa che viene consigliata sempre più precocemente dalla diagnosi di infezione, con l'obbiettivo di minimizzare questi problemi nel lungo periodo e migliorare la risposta globale dell'organismo. Dall'osservazione di tanti pazienti nel corso degli anni (studi di corte) abbiamo infatti imparato che quanto migliore è la risposta in termini di recupero immunologico nell'arco degli anni tanto più simile è la sopravvivenza rispetto alla popolazione generale a parità di altre condizioni (stile di vita, fumo ed altri fattori di rischio noti per altre patologie) anzi, qualche volta, è anche migliore, forse come conseguenza di una stretta osservazione clinica. Abbiamo anche capito che trattando più precocemente i pazienti con infezione da HIV siamo in grado di ridurre la trasmissione del virus stesso nell'ambito della popolazione suscettibile.
Oltre che dai suddetti studi, queste informazioni le abbiamo ottenute anche da altre esperienze come, ad esempio, dalla dimostrazione della scomparsa del virus in due bambini infettati alla nascita e trattati molto precocemente con la terapia antivirale nonché dagli studi sul trattamento dell' infezione acuta da HIV in cui si migliora l'evoluzione futura della malattia anche sospendendo il trattamento nel corso degli anni. Per l'infezione acuta, il grosso ostacolo a questo approccio è rappresentato dalla difficoltà di riconoscere questa fase peculiare di malattia per diverse ragioni, alcune delle quali vedremo in seguito.
Un' offerta precoce della terapia era stata proposta anche diversi anni fa sull'onda dell'entusiasmo delle prime terapie di associazione ma poi quest'approccio era stato presto modificato in seguito alla consapevolezza che i regimi terapeutici proposti erano particolarmente complessi e relativamente tossici e i pazienti non li assumevano correttamente portando alla selezione di virus resistenti e, inoltre, si rendevano responsabili della comparsa di effetti collaterali, nel medio e lungo periodo, quali la lipodistrofia (estremamente stigmatizzante), disturbi metabolici, etc., che rendevano il rapporto costo-beneficio (che si applica a tutti i nostri interventi) sfavorevole per un inizio precoce della terapia.
Cosa è cambiato oggi? I regimi terapeutici sono molto più semplici da assumere, anche rispetto ad altre terapie croniche e, anche se devono comunque essere praticati per tutta la vita, spesso si tratta di assumere un'unica compressa una sola volta al di (attualmente sono disponibili associazioni di più farmaci in un'unica compressa - recentemente è stata registrata in Europa, e sarà presto disponibile in Italia, una associazione comprendente un nuovo inibitore dell'integrasi). Altri farmaci ancora arriveranno nei prossimi mesi. All'inizio saranno autorizzati per la terapia dei pazienti che non hanno mai assunto farmaci antiretrovirali (pazienti cosiddetti naive), ma sono in corso studi anche su pazienti già trattati.
Come estrema semplificazione dei regimi terapeutici, sono allo studio associazioni di farmaci, già noti, che sono stati però modificati in modo tale da aumentare di molto la loro persistenza nell'organismo, permettendone, forse, una somministrazione mensile. Tali strategie sono già in fase avanzata di ricerca e saranno disponibili in un prossimo futuro. Questi nuovi regimi terapeutici oltre ad essere più semplici da assumere sono anche meglio tollerati nel medio e lungo periodo e hanno un miglior profilo metabolico rispetto ai farmaci usati in passato. Queste caratteristiche rendono possibile una nuova valutazione del rapporto costo-beneficio della terapia precoce già nel presente. L'altra buona notizia è rappresentata dalla ricerca di nuove strategie che migliorino ulteriormente il risultato della terapia antivirale, fino all'ipotesi di un eradicazione, la scomparsa cioè del virus dall'organismo: uno dei limiti delle attuali terapie è quello di non agire sui virus che sono già integrati nelle cellule umane e che non replicano, la cui vita è pressoché uguale a quella dell'individuo ospite.
Si stanno cercando degli strumenti (immunologici e non) per eliminare anche questo virus residuo e poter ottenere una guarigione definitiva e non solo "funzionale" della malattia, ma i risultati attuali non permettono ancora una applicabilità clinica. Uno dei modelli per questo tipo di approccio è quello rappresentato dal "paziente di Berlino" che ha fatto un trapianto di midollo in cui le cellule del donatore erano naturalmente resistenti all'infezione da HIV in quanto portatrici di una mutazione già nota per conferire resistenza all'infezione (chiamata omozigosi Delta32), che a distanza di diversi anni è ancora negativo per l'infezione da HIV.
Anche se tale evenienza è difficile da replicare, apre la strada per analoghe strategie di terapia genica. Altra notizia parzialmente positiva è legata alla scoperta di anticorpi" bloccanti", un particolare tipo di anticorpo in grado di mantenere attività su differenti tipi di ceppi virali, evitando la strategia di fuga del virus attraverso la sua estrema velocità di mutazione che rende vana la risposta immunitaria.
Questo è un nuovo approccio di "vaccinazione passiva "che mitiga un po' i risultati deludenti degli ultimi tentativi di immunizzazione (l'ultimo dei quali attuato utilizzando dei vettori virali diversi da HIV, nei quali venivano veicolate proteine virali, anche esse fallite miseramente come si evince da recenti pubblicazione dei risultati). Tutte queste prospettive rendono sicuramente più ottimistica la condizione dei nostri pazienti. Ma veniamo alle note dolenti; la prima è quella che deriva dagli studi epidemiologici: l'epidemia è tutt'altro che ridotta, anzi si assiste ad un costante aumento delle nuove infezioni, quello che è cambiato è la modalità di trasmissione, oggi prevalentemente rappresentata dalla via sessuale (soprattutto eterosessuale ma anche omosessuale).
Il dato è ancora più significativo in considerazione del fatto che gli omosessuali rappresentano una quota minore rispetto alla popolazione generale, quindi, questa modalità di trasmissione rappresenta attualmente uno dei nostri principali obbiettivi su cui agire.
L'altro aspetto di notevole rilevanza è rappresentato dal fatto che molte delle diagnosi di infezione da HIV avvengono in fase avanzata di terapia o contestualmente alla diagnosi di AIDS; e questo vanifica parte dei vantaggi che si potrebbero ottenere da un inizio più precoce di terapia, rendono le nostre scelte più complesse, le terapie peggio tollerate e spesso in associazione ad altre terapie potenzialmente interagenti.
Questa situazione aumenta inoltre lo spazio temporale in cui il paziente inconsapevole può trasmettere l'infezione. Forse per ovviare a questo fenomeno e fare "emergere il sommerso" potremmo rivedere le modalità d esecuzione e di offerta del test (senza necessariamente arrivare al pragmatismo anglosassone in cui si discute se il test debba venir proposto indifferentemente su larga scala) o migliorare la conoscenza delle patologie associate, da parte del personale sanitario che non si occupa direttamente della patologia; spesso infatti non si dà adeguato rilievo a condizioni che rappresentano una fase precoce di malattia o a condizioni che spesso si accompagnano all'infezione da HIV, come ad esempio altre malattie sessualmente trasmesse, tumori o infezioni da virus epatici. Quello che è mancato in questi anni è l'assordante silenzio delle campagne di prevenzione che in virtù dell'ottimismo derivato dalle cure efficaci e della riduzione dei finanziamenti, ha trascurato in parte questo aspetto di prevenzione primaria della patologia.
L'altro problema che si prospetta all'orizzonte e con cui sicuramente dovremo confrontarci in un futuro prossimo è quello della sostenibilità economica della terapia antivirale, che già attualmente rappresenta la seconda voce di spesa per il SSN, e che se non si controlla l'evoluzione della infezione diventerà un problema aggiuntivo con il quale dovremo confrontarci in un prossimo futuro, facendo forse delle scelte che non vorremo attualmente fare (ad esempio uso di generici con la necessità di rinunciare alle associazioni precostituite di diversi antivirali con gli indubbi svantaggi che questo comporta). Per concludere vorrei inoltre sottolineare una cosa che fa onore al nostro vituperato paese: da un' indagine condotta da un ricercatore sudafricano sulle diverse corti di pazienti con infezione da HIV, e presentata ad un congresso internazionale, è emerso che le corti di pazienti curate in Europa sono quelle che hanno i migliori risultati in termini di efficacia delle terapie e tra queste, la corte ICONA (quella Italiana) è quella che ha il risultato migliore! E questo significa che il nostro sistema Sanitario forse non è tutto da rottamare e questo risultato deve rappresentare il punto di partenza per ogni discussione in merito.
Concludo ringraziando pubblicamente la LILA nella figura di Brunella Mocci per l'occasione offertami di raccontare quello che è successo in questi ultimi anni, e la rivista che mi ospita, ed un sentito abbraccio alla mia collega Paola Piano che ha collaborato alla stesura del documento.