L’intellettuale cagliaritano, la sua storia e la Resistenza, nell’incontro organizzato dalla Soprintendenza archivistica della Sardegna
di Sabrina Zedda wCAGLIARI Ci sono nuovi elementi che potrebbero aggiungere altri particolari sulla vita e l’epoca di Giaime Pintor, il fine intellettuale sardo ed eroe dell’antifascismo morto ventiquatrenne tra il 30 novembre e il 1° dicembre del 1943 a Castelnuovo Volturno folgorato da una mina tedesca: un pacchetto contenente almeno una decina di lettere, che costituiscono la corrispondenza tra la madre di Giaime, Adelaide, e la donna che è stata governante nella sua famiglia sino al 1938, sarà donato dai figli di questa, Giaime, Gaetano e Maria Vittoria Marongiu al Fondo Pintor, nell’Archivio centrale dello Stato. La notizia è stata data ieri nella seconda giornata dell’interessante convegno “Giaime Pintor e il lungo viaggio nell’antifascismo italiano”, organizzato dalla Soprintendenza archivistica della Sardegna per celebrare i 70 anni dei bombardamenti su Cagliari attraverso la figura di una delle personalità più emblematiche di quel tempo. Figlio della borghesia colta di allora, a distanza di 70 anni dalla morte Giaime Pintor continua, per dirla con Maria Cecilia Calabri, autrice del libro “Il costante piacere di vivere. Vita di Giaime Pintor”, edito da Utet, «a trasmettere la grandezza di un destino fulmineamente spezzato». All’età di sette anni Giaime era già un lettore infaticabile, tanto che i suoi dovettero portarlo dall’oculista in seguito a un disturbo accusato dopo aver passato una notte a leggere nella penombra. Da ragazzo era capace di leggere un intero libro in una sola sera. E come traduttore, giornalista e critico (collaborò con riviste come Oggi, Primato, Omnibus) seppe mettere insieme una mole di materiali inimmaginabile. «Durante gli anni torinesi, in cui lavorava per la casa editrice Einaudi – racconta Calabri – diceva che tutto quel lavoro gli era possibile farlo grazie a un incredibile orario d’ufficio. La verità è che Giaime Pintor era davvero un personaggio fuori dal comune. Era un genio». Un personaggio non a tutto tondo, ma con i suoi dubbi, le sue inquietudini, la sua voglia di allargare orizzonti e conoscenze al punto di decidere, dopo aver frequentato la prima ginnasio al Liceo Siotto di Cagliari, di lasciare il capoluogo isolano per proseguire i suoi studi a Roma, ospite dello zio Fortunato. «Anche se giovanissimo Giaime era un ragazzo capace di stringere amicizie importanti – ricorda ancora Maria Cecilia Calabri – . In alcune lettere si definva “amico di mezza Italia”, ma questa, in effetti, era la verità». Giaime Pintor era legatissimo a personalità come Mario Spinella, Cesare Pavese, Felice Balbo, qualcuno, come l’imprenditore tedesco Gehrard Heymann, ricorda Sara De Biasi, che si è occupata del riordinamento del Fondo nell’Archivio centrale dello Stato, vedeva in lui un possibile intercessore per meglio organizzare i suoi affari. Negli anni del fascismo Pintor visse in pieno la crisi dei giovani d’allora, educati da un regime che portava all’appiattimento culturale, e approfondì la concezione dello Stato. La sua figura di antifascista è ricostruita dalla pagine del suo diario: «In un primo tempo il suo antifascismo fu di carattere intellettuale – continua Calabri – Era il cosiddetto antifascismo carsico, così chiamato perché lavorava a fondo ma in maniera invisibile». Si traduceva, ad esempio, nel distribuire volantini, nel parlar male di questo o quel rappresentante del regime o nel denunciarne le nefandezze. Come avvenne nella rivista “Oggi” quando Pintor scrisse in un articolo “si ascoltano i rumori delle fucilazioni”, frase poi ammorbidita con “si ascoltano le fucilate”. Furono gli sviluppi della guerra a indurre l’intellettuale a una presa di posizione più netta: «Soltanto la guerra ha risolto la situazione, travolgendo certi ostacoli, sgombrando il terreno da molti comodi ripari e mettendomi brutalmente a contatto con un mondo inconciliabile», scrisse Giaime al fratello Luigi, nella famosa “Lettera al fratello” redatta un mese e mezzo prima della morte e considerata il suo testamento spirituale. Un percorso diverso quello di Pintor rispetto a quello di altri intellettuali dei suoi tempi, come Renzo Laconi, ben ricordato dalla storica dell’Università di Cagliari, Maria Luisa Di Felice, che ha ripercorso le tappe dell’uomo politico all’interno del Pci (Giaime Pintor invece non volle mai far parte del Partito comunista e non fu mai nemmeno un giovane comunista) mosso dal fervente desiderio di occuparsi della questione sarda. Tra documenti inediti, carteggi, epistolari, a ricordare Giaime Pintor è anche la prospettiva della madre Adelaide Dore Pintor: passata sempre in secondo piano rispetto ai suoi figli più conosciuti, seppure minuta e discreta era in realtà il fulcro centrale della famiglia. Delle sue migliaia di lettere alcune sono state riproposte da Monica Pacini nel libro “Da Casa Pintor”, edito da Viella. «Lettere da cui emerge uno spaccato della famiglia – dice Pacini– ma anche del fallimento della borghesia colta». Coltissima, curiosa, di indole ottimista, Adelaide Dore Pintor non si piegò mai ai dettami del regime “Dio, patria, famiglia”, eppure sacrificò molto della sua vita alla famiglia e visse l’amarezza di trovare chiuse molte porte. «Caro Giaime, la realtà non esiste. Esiste solo la realtà oggettiva», scriveva con quella sua scrittura accurata e pulita al figlio allora diciottenne. Il ricordo di Giaime Pintor si è arricchito anche dei lavori del progetto “Giaime Pintor”, realizzato da Emiliano Ilardi del corso di Sociologia dell’Università di Cagliari di concerto con la Soprintendenza archivistica, delle letture dei ragazzi dell’istituto tecnico Dionigi Scano e della mostra “Doppio diario” allestita sino al 30 novembre nel Teatro lirico.