Chi si occupa di politiche di genere lo sa: quando si parla di violenza sulle donne, l'interlocutore medio ha una marea di obiezioni da opporre.
ANGELA CHERCHIlunedì 25 novembre 2013 11:37
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di Angela Cherchi
Chi si occupa di politiche di genere lo sa: quando si parla di violenza sulle donne, l'interlocutore medio ha una marea di obiezioni da opporre.
La più frequente è dovuta al fatto che c'è poca informazione, o forse poca volontà di mettere insieme le informazioni che si hanno: sì, da altre parti è un problema molto grave, dicono, nei paesi sottosviluppati magari, ma da noi non è una questione attuale. Eppure poi, a rifletterci un po', ci si ricorda di quella donna morta per l'odio del suo compagno nel paesino in cui viviamo, o di quella mamma che dopo anni di violenze è stata convinta dai figli a lasciare il suo aguzzino. E magari ci si accorge che quella volta in cui si è rinunciato a un'esperienza importante perché il nostro ex ci ha dato l'out out "O me o quel master!", era il primo stadio della violenza psicologica, non un segno di tanto amore.
Il maschilismo che giustifica quella violenza è parte integrante della nostra cultura, al punto che in pochi si rendono conto di viverlo tutti i giorni. Gli uomini non si accorgono di praticarlo, le donne non si rendono conto di subirlo e di accettarlo.
Manca l'educazione alla parità, a partire da quando si impara a leggere su libri di scuola che raccontano della mamma che prepara il pranzo mentre il babbo va a lavoro, facendo intuire che è normale che le donne rinuncino ad ambizioni personali e indipendenza in favore dell'affermazione maschile, per arrivare a quando si terminano gli studi e contare le donne che hanno fatto la storia che abbiamo in memoria con le dita delle mani. Si dice spesso: in Italia, ogni 3 giorni muore una donna per mano di un uomo che avrebbe dovuto amarla. Ma questo non ci dà forse abbastanza l'idea di quanto sia urgente una riflessione profonda sul maschilismo da cui siamo afflitti. Fa probabilmente più impressione sapere che i centri anti violenza che gestiscono i 25 posti letto in Sardegna, che servono a far scappare le donne (e spesso i loro bambini) dai comportamenti violenti del loro compagno, sono costretti a fare delle selezioni, perché non sono minimamente sufficienti a far fronte al pericolo.
Io sono sicura che le istituzioni potrebbero fare tanto per sensibilizzare i cittadini sul tema e far capire quanto sia attuale questo problema. Nel nostro piccolo, con il Forum politiche di genere dei Giovani Democratici sardi, siamo riusciti a maturare molto. Quando abbiamo iniziato a affrontare il tema, pochi tra noi erano coscienti di quale fosse l'entità dell'incidenza del fenomeno. Abbiamo iniziato a riflettere con un progetto fotografico in cui ognuno di noi ci metteva il suo modo di vedere la violenza di genere, che poi è diventato una campagna di sensibilizzazione. E poi, ogni giorno, abbiamo pubblicato sul gruppo Facebook del forum le notizie sulle vittime di violenza di genere, a livello internazionale, nazionale, ma soprattutto locale. E la nostra coscienza sul tema è cresciuta ogni giorno di più con l'analisi di quelle notizie. Ora chi ha fatto parte di quel progetto, ragazzi e ragazze, continua a leggere molto sul tema, organizza iniziative e riflessioni e chi inizialmente sembrava il meno interessato ora è il più attivo nella battaglia per la parità. Io, come responsabile politiche di genere dei Gd, l'ho ritenuto un successo. Ho ottenuto l'obiettivo che mi ero prefissata: da noi, ragazzi e ragazze che aspirano ad essere la classe dirigente del presente e del futuro, e dal nostro modo di relazionarci con l'altro sesso, deve partire la coscienza di quanto ancora sia attuale una questione femminile, di quanto ancora ci sia da percorrere un tortuoso cammino verso la parità. Se lo abbiamo fatto con un'organizzazione giovanile, lo possono fare le istituzioni.
Oggi utilizzo questo spazio per chiedere queste cose alla classe politica che ci governa: di predicare la parità, in tutte le sue forme, a partire dall'educazione primaria e dalla sensibilizzazione della cittadinanza. Piccole azioni che coinvolgano tante persone possono cambiare la situazione. Perché, un giorno, possa non avere più senso parlare di femminismo e l'esistenza di una giornata internazionale contro la violenza sulle donne.