Rassegna Stampa

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25nov Viaggio in un Centro anti- violenza

Fonte: web Cagliari Globalist
26 novembre 2013

 

Giovanna Casagrande intervista la dott.ssa Luisanna Porcu del centro antiviolenza di Nuoro.
 

 

Redazionelunedì 25 novembre 2013 11:17
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di Giovanna Casagrande

Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal erano tre sorelle di Ojo de Agua, in provincia di Salcedo, Repubblica Dominicana che, in reazione alla dittatura di Trujillo, crearono il Movimento 14 Giugno che si radicò ben presto in tutta la Repubblica Dominicana nell'impegno anti trujillista, Minerva e Maria Teresa usarono il nome di las Mariposas.

La dittatura trujillista adottò misure durissime per combattere il dissenso, buona parte dei ribelli furono arrestati e fra loro anche i mariti delle sorelle Mirabal che, il 25 novembre del 1960, durante uno spostamento in auto verso il carcere dove erano detenuti i rispettivi coniugi, furono massacrate insieme ad autista e accompagnatori.

Il 25 novembre 1981 a Bogotà si svolse ilprimo Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi e la data venne ufficializzata dall'Assemblea Generale dell'ONU che con risoluzione numero 54/134 del 1999 ha designato il il 25 novembre come Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.

Quest'anno l'Italia si è dotata di una legge sul femminicidio, la 119 del 15 ottobre 2013 che, sulla base delle indicazioni provenienti dalla Convenzione del Consiglio d'Europa ha inserito misure penali e di prevenzione sul fenomeno della violenza contro le donne, ne parliamo con la Dottoressa Luisanna Porcu, psicoterapeuta e coordinatrice di Onda Rosa, centro antiviolenza di Nuoro.

Come è nata proprio a Nuoro l'idea di un centro antiviolenza?

Il Centro Antiviolenza Onda Rosa di Nuoro nasce nel 1997 da un gruppo di donne che negli anni 70 e 80 aveva lottato nei collettivi femministi per l'apertura dei consultori e impegnate da anni sul tema della violenza contro le donne, hanno creato a Nuoro un luogo adatto a fornire una risposta concreta. Nasce come luogo di comunicazione, solidarietà e iniziative per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza di genere e lo stalking. In quel momento storico l'assessore ai servizi sociali del Comune di Nuoro era una donna particolarmente sensibile alla tematica. L'allora assessora Franca Carroni, finanziò con un contributo di 15 milioni il Centro permettendone l'avvio.

Secondo lei un centro antiviolenza deve essere in carico ai servizi sociali o è meglio che a gestire la struttura e i servizi debbano essere associazioni specifiche?

I Centri devono essere gestiti da associazioni e non da comuni. I centri antiviolenza italiani hanno ascoltato migliaia e migliaia di donne e hanno dato risposte a molti dei loro bisogni e le hanno accompagnate nel difficile percorso di uscita dalla violenza. Le hanno aiutate ad acquistare la libertà mettendo in pratica azioni concrete con pratiche di relazioni tra donne. Una coltivazione di pratiche femministe che ha prodotto grandi cambiamenti nella società. Nei centri antiviolenza, la violenza contro le donne e le teorie che ne sono scaturite si sono fatte pratica; abbiamo elaborato strumenti di contrasto alla violenza che non passano esclusivamente attraverso la protezione delle donne che ne sono vittime. I centri antiviolenza, infatti, non sono solo attivi per l'accoglienza, non sono servizi, ma rappresentano luoghi di progettualità femminile, sono veri e propri laboratori sociali dove si produce sapere ed esperienza e dove, grazie alla sinergia delle donne, si è costruita una cultura nuova. Ecco perché non possono essere le asl o i comuni o qualsiasi altro ente istituzionale a gestire i centri antiviolenza.

Come è nata, in Sardegna, la legge sui centri?

Nel dicembre del 2004 noi donne dell'equipe di Onda Rosa abbiamo contattato l'allora consigliera regionale Francesca Barracciu in quanto come Centro rischiavamo la chiusura non avendo finanziamenti certi per garantirne la continuità. I nostri dati quantitativi e qualitativi hanno incoraggiato la consigliera, già sicuramente sensibile e ben disposta al lavoro per l'emersione e il contrasto della violenza di genere. In quell'occasione la Barracciu ha coinvolto le altre donne del consiglio e prendendo spunto, sia noi come associazione che loro come politiche, dalla legge provinciale di Roma già avviata da tempo abbiamo lavorato unitamente sino all'approvazione della nostra Legge Regionale avvenuta nell'Agosto 2007.

Negli ultimi anni sembra che l'attenzione verso la violenza di genere sia aumentata o si tratta di una percezione dovuta all'informazione che ne parla in modo più ampio?
Esiste sicuramente una maggiore consapevolezza della pubblica opinione, ma la situazione non è affatto migliorata. Nelle risposte istituzionali prevalgono approcci scorretti al problema della violenza maschile a causa di disinformazione, stereotipi e pregiudizi.

La legge sul femminicidio di recente approvazione avrà risultati strutturali sulla prevenzione o sarà una legge che si occuperà solo di punire il reato?

La nuova legge è basata su misure "di emergenza" che niente hanno a che fare con una visione della violenza di genere come fenomeno profondamente radicato e strutturale all'interno della società e del contesto italiano, e riduce questo problema per l'ennesima volta ad una questione di ordine pubblico e sicurezza. Le misure previste sono inadeguate a contrastare la violenza maschile contro le donne e sono ben lontane dal dare attuazione alla Convenzione di Istanbul.Il lavoro che si svolge quotidianamente nei centri con donne sopravvissute alla violenza di genere ci ha insegnato, al contrario, che la violenza contro le donne ci interroga profondamente sulle relazioni tra i generi, sul potere e le sue dinamiche di sopraffazione; consapevolezza che ci impone di mettere in discussione una cultura che tende a giustificare la violenza di genere, e a sottovalutarne la portata. Ecco perché una legge che non contempli queste imprescindibili premesse non è una buona legge. Anzi, è una legge pericolosa, perché intrisa di quegli stessi valori di cui si nutre la violenza di genere che riproducono la visione delle donne come corpi deboli, corpi senza parola, sovradeterminati e incapaci di decidere.