L'attore porta a Pirri la sua galleria di italiani più o meno immaginari
Vetreria: pubblici orrori e private disperazioni
Quando Ascanio Celestini approdò dieci anni fa nell'allora teatro Akròama di Monserrato con “Fabbrica”, in sala c'erano una ventina di spettatori, forse anche meno. Adesso i numeri sono ben altri e, per assistere a un suo spettacolo, si fa la fila al botteghino, come nel caso di “Discorsi alla Nazione”, portato in scena sabato alla Vetreria di Pirri per il cartellone del Cada Die.
Evocando un paese immaginario dove piove sempre ed è in corso un'altrettanta immaginaria guerra civile, l'attore romano, parla di moderni tiranni e del loro modo di conquistare il consenso, dei molteplici volti del potere, di verità buttate in faccia al popolo considerato schiavo, del buio dell'anima, della solitudine di personaggi che abitano un condominio. Mentre il pubblico prende posto, scorrono le voci registrate di Kennedy, Mao, Mussolini, Giovanni XXIII, Bush, Khomeyni, Craxi, Andreotti, Berlusconi. Nella prima mezz'ora Celestini cerca un contatto con la platea, spiega l'idea che anima la pièce, che pare debba iniziare da un momento all'altro ma invece ha già preso piede. Spazia dalla monarchia dei Savoia all'attualità. Cita Berlusconi, e immagina il suo dispiacere nell'ammazzare Gheddafi perché pensava a una tendona piena di femmine. Ricorda i bombardamenti in Kosovo ordinati da D'Alema, che in quel momento si era dimenticato del suo passato comunista.
Bersani e le foto elettorali di qualche anno fa, con le maniche rimboccate però senza far nulla. Il Premio Nobel per la Pace Barack Obama che, insieme ad altri potenti del pianeta, scrive la kill list. Scomoda politologi e sociologi internazionali, secondo cui l'egemonia della destra nel nostro Paese, non deriverebbe tanto da un effettivo consenso ma dall'incapacità della sinistra di esprimere dissenso.
E poi la Cina, Putin, le africane che arrivano in Italia destinate a un futuro di prostituzione, Montanelli che ammise di averne comprato una di 12 anni durante la guerra in Africa, Grillo, Renzi, Vendola, Bindi, Napolitano. Fino alla frase spartiacque che taglia in due lo spettacolo: Io sono di sinistra ma però me ne frego . Circondato da travi e lampade, dà il via alla sua carrellata di personaggi. Ognuno chiuso nella propria stanza-sala d'anatomia di sentimenti e di pulsioni, ricordi e disperazione, dolore e violenza. Uno si sente invisibile al mondo che lo circonda, e vive la sua vita uniformandosi alle pratiche sociali dominanti. Un altro vive all'ultimo piano, si considera un cittadino onesto, paga le tasse, non ruba e non abbandona mai il suo ombrello, proprio come faceva il padre. Un altro ancora ha la pistola sempre in tasca, ha una buona mira, vede gli altri come possibili bersagli. E infine c'è il padrone, per Gramsci appartenente alla classe egemone. Se oggi fosse presidente del Consiglio, nominerebbe un poeta ministro della Cultura, un precario ministro del Lavoro, un pacifista alla Difesa, un immigrato agli Esteri, un contadino all'Agricoltura e un bagnino al Turismo.
Carlo Argiolas