TEATRO LIRICO. Dedicata alle vittime dell'alluvione la prima dell'opera di Leoncavallo
Realtà e finzione nel grande allestimento di “Pagliacci”
Strano il destino cagliaritano di quest'opera verista che mescola con intelligenza teatrale realtà e finzione: nel maggio del 2009, quando andò in scena al Lirico, la serata si aprì con un minuto di raccoglimento per gli operai della Saras morti sul lavoro. Ieri sera, altri sessanta, interminabili secondi, per ricordare le vittime dell'alluvione. Seguiti dalla lettura di un breve messaggio nel quale Franco Zeffirelli si rammarica di non poter essere presente alla prima dei suoi “Pagliacci” e rivolge il suo pensiero affettuoso alla Sardegna colpita dalla tragedia. Subito dopo, il Valse triste di Sibelius, così struggente e così pieno di speranza. Comincia con una dedica alle vittime questa inedita serata. Con l'orchestra e il direttore Marcello Mottadelli proiettati grazie a un video dal golfo mistico sul palco. I brani che propone hanno un senso preciso: dare corpo all'opera di Leoncavallo, che dura soltanto 70 minuti. E allora, perché non aprire con una serie di musiche che ci portino nel clima in cui l'opera nacque? Ecco allora tre splendidi intermezzi (“Manon Lescaut” di Puccini, “Guglielmo Ratcliff” e “Cavalleria” di Mascagni) e ancora Puccini, con la Tregenda da “Le Villi”, a ridarci vigore.
Ed ecco il sogno messo in scena da Zeffirelli. Sorprendente come solo i sogni sanno essere. Il gran burattinaio di questo allestimento - che risale al 1992, Opera di Roma, ed è stato ripreso un anno fa - avrebbe voluto essere a Cagliari, ma i suoi novant'anni glielo hanno sconsigliato. Eppure la sua presenza è palpabile. E anche chi non ha una particolare predilezione per il regista fiorentino, resta abbagliato da questo spettacolo dove tutto è curato nei minimi particolari. E talmente “troppo” (ma una volta tanto non guasta) che è un'impresa seguire ciò che accade sul palco. Così, chi ha notato l'asinella (si chiama Distinta e viene da Selargius) si è perso Giuseppina, la barboncina bianca. Chi segue il camper trainato da un'auto rossa rischia di non apprezzare il siparietto degli sposini che si fanno fotografare felici, tra donne incinte e discinte. Il resto è un intrigante contrasto tra “vero” e falso, tra la miseria degradata di una periferia calabrese degli anni Sessanta-Settanta del Novecento e quella imbellita dai trucchi di un circo che arriva in paese, a raccontare le sue storie ingenue, a mettere in piazza il suo dramma. Canio, il Pagliaccio, ama disperatamente la sua Nedda, che ha strappato dalla strada, ma lei ama Silvio, un giovanotto pieno di passione. Quando scopre che sua moglie lo tradisce per davvero (e non soltanto nella misera pièce che ogni sera la compagnia di giro mette in scena), il capocomico ucciderà entrambi. Con la complicità morale di Tonio, che vendicherà così lo sprezzante rifiuto della donna.
Non c'è spazio per le mezze misure, nei sentimenti musicati da Leoncavallo che, nel rifarsi a un fatto di cronaca, richiamano il coraggio di Carmen, la gelosia di Otello, la perfidia di Jago, il dolore di Rigoletto. E non ce n'è nell'allestimento di Zeffirelli, che domina l'intera scena. Una gioia per gli occhi, un continuo giocare a nascondino tra sala e palco. Nulla è mai fermo, ognuno ha un compito. Marionette tutte nelle mani del Maestro. Si svuota, la scena, quando cala la sera, e Nedda incontra il suo amante. Ma è solo un attimo: quello che precede la celebre romanza di Canio-Pagliaccio, e poi, nel secondo atto (unica pecca quell'intervallo che spezza il racconto), il passaggio dalla realtà alla finzione del circo. Dove tutto è talmente ricco che quasi si fatica a capire quando Canio, furioso per il tradimento, non recita più. Davanti agli spettatori attoniti restano senza vita i corpi di Nedda e di Silvio. Canio, vestito da Pierrot, finisce in manette, tra due poliziotti. La commedia è finita. E gli applausi calorosi raggiungono la compagnia di canto (nella quale spicca il Tonio del sassarese Alberto Gazale), il coro diretto da Marco Faelli, le voci bianche di Enrico Di Maira, l'orchestra diretta da Marcello Mottadelli, i mimi, l'assistente alla regia Yamala Das-Irmici, la costumista Raimonda Gaetani, la sua assistente Simona Morresi, il lighting designer Gianni Paolo Mirenda. E su tutti Z. che ha lasciato, anche a Cagliari, il segno forte del suo passaggio.
Maria Paola Masala