«Negli anni '70 si stava peggio ma si credeva al futuro, non al destino»
Aldo Cazzullo a Cagliari per “Pazza idea”
«In questi ultimi anni abbiamo condizioni materiali incomparabilmente migliori di quelle dei nostri bisnonni e anche soltanto degli anni '70, quando il futuro non era un problema: si pensava che sarebbe stato migliore del presente se avessimo dato il meglio di noi stessi. Adesso ci stiamo convincendo che il domani coincida col destino, che sia segnato e che dipenda solo dagli altri, dallo spread, dai cinesi o dalle multinazionali. Non è così, anche se è vero che nel mondo globale tutti devono far i conti con tutti. Ma il futuro dipende soprattutto da voi. Basta piangere, allora». Aldo Cazzullo, arrivato a Cagliari per “Pazza idea”, si rivolge alla platea più giovane della manifestazione diretta da Emilia Fulli e Mattea Lissia che oggi chiude con Paolo Nori, Matteo B. Bianchi, Daniele Zito, Francesca Madrigali, Paolo Zucca e Gianmarco Diana (a partire dalle 16,30, al Ghetto).
L'inviato del Corriere della sera ha messo su carta le storie di un'Italia che non si lamenta contenute nel suo “Basta piangere!” (Mondadori, 2013), pagine di intensità e leggerezza lette ieri da Fausto Siddi. «Un affresco intergenerazionale dai '60 a oggi che alterna il distacco del giornalista e il tono intimo di chi quegli anni li ha vissuti», le parole del giornalista Giorgio Pisano che ha conversato con l'autore. Cazzullo non fa una polemica generazionale perché non è vero che i giovani vogliono intraprendere carriere da tronisti e veline. Chiedono lavoro perché lavoro significa dignità.
E sa bene che l'Italia tratta male i suoi figli, tanto che figli non ne fa più. «Non vorrei però che voi ragazzi pensaste di essere nati nel paese sbagliato. L'Italia ha vizi antichi da estirpare e scandali recenti da denunciare ma non credo nella retorica del Belpaese. L'Italia delle mafie e delle caste fa schifo ma questa Italia è l'unica che abbiamo e non possiamo chiamarci fuori come se non ci riguardasse. La possiamo migliorare un po' alla volta. Non dite più questo Paese , con distacco. Dite il nostro Paese ». La buona notizia è che, pur con i suoi guai, resta un Paese straordinario e il mondo globale guarda l'Italia come la patria delle cose buone e belle, dei talenti e della creatività. Parla rapido, grintoso, carico. E urgente: «Le generazioni precedenti hanno superato difficoltà e drammi maggiori. Hanno vissuto guerre mondiali e malattie». La svolta del cambiamento anche di quella politica colpevole di pensare a fini privati non è lontana. Sul grillismo come antidoto al berlusconismo avverte: «La Rete può però diventare una piazza elettronica dove tutti scrivono e nessuno ascolta, dove la rabbia popolare cancella tutto: baroni, figli e chi ce l'ha fatta da solo».
E si torna al lavoro, dunque. Oggi troppi figli ereditano dal padre, oltre nome e beni, lo status di mestiere: l'ascensore sociale non funziona più. Se la crisi è spesso retta in Italia da milioni di operai che lavorano di più venendo pagati di meno e la rivoluzione in corso vede che le macchine intelligenti uccidono il lavoro tradizionale? Occorre un nuovo sistema di sviluppo. «Il lavoro si troverà dove serve un sapere, una tecnica, un'esperienza. Il consiglio per i giovani è di studiare di più e mettersi in discussione». La nuova generazione non trova più gli stessi strumenti di partenza a seguito degli anni di attacco alla scuola pubblica. Meno male che ci sono insegnanti che hanno resistito. Si va avanti verso le opportunità. Non ha e non dà ricette preconfezionate. Sembra riprendere il filo già tracciato a Cagliari da Hubert Jaoui: «Crediamo in noi stessi. Come italiani possiamo fare molte cose».
Manuela Vacca
@ManuelaVacca