l’intervista
Il consulente per innovazione e creatività di moltissime grandi aziende parla dei meccanismi mentali da adottare per combattere la crisi
di Giulia Clarckson wCAGLIARI
Un potenziale dormiente da risvegliare. E dopo, niente sarà più come prima. Parola di Hubert Jaoui, esperto di creatività applicata e gestione dell'innovazione, affascinato da una Cagliari che lo ospita quale relatore d'eccezione all'interno di “Pazza idea. Pensiero creativo” dell'associazione Luna Scarlatta. È lui che spinge il motore della creatività presso aziende, scuole e famiglie, persino istituzioni pubbliche. Da geologo al management, poi al marketing e infine all'innovazione, questo vulcanico signore francese con una ricambiata passione per l'Italia, si considera baciato dal caso nel senso esplicitato dallo scienziato Louis Pasteur quando scriveva: “il caso favorisce solo le menti preparate”. Esperto in creatività, come lo si diventa? «Il bello è che non esiste alcuna laurea e spero che mai ci sarà. Una mattina ho trovato sulla scrivania una rivista con un dossier di venti pagine con una parola che non conoscevo “créativité” in cui si raccontava dell'esperienza di dieci uomini. Sono andato a trovarli, loro mi hanno rivelato la mia vocazione. Perché la creatività permette di unire la riflessione e l'azione, la filosofia e la scienza. È per definizione un'attività di sintesi. Diceva Arthur Koestler, autore della bibbia della comunicazione “L'atto della creazione” edito da Adelphi: creare è dissociare, ovvero prendere due cose che non sono incrociate, ed incrociarle. Se nasce una risposta funzionale, originale ed utile, abbiamo creato. Scrivere un testo è associare parole, scrivere musica è associare note, creare un'automobile è assemblare una molteplicità di pezzi». Lei sostiene che non esista persona senza creatività. «Certo che non esiste, potenzialmente. Creare è alla portata di tutti. Il problema è che la maggior parte non lo sa e dunque non usa le sue risorse. Come rendere le persone consapevoli, allora? «Risposta semplice, ma di difficile attuazione. È come per la volontà: l'hanno tutti, ma pochissimi la usano perché il volere è un esercizio di responsabilità. Ecco, anche la creatività ha a che fare con la responsabilità. Chi non vuole riconoscere la propria creatività preferisce essere un codardo. Gli italiani in particolare fanno molto le vittime. Si dicono sfortunati, poveri, fanno a gara per chi è più miserabile, pur di evitare di prendersi responsabilità. “If you want, you can, quello che desideri è possibile”, dicono invece gli americani. Non siamo onnipotenti, ma c'è molto che possiamo fare. Altrimenti siamo complici ». Ma lei ha o no fiducia nel genere umano? «Il mio lavoro mi consente di verificare una cosa che può sembrare ingenua, ovvero che la maggior parte delle persone sono fondamentalmente buone, vogliono essere felici, dialogare, cooperare. Diventano cattive quando mancano loro gli strumenti per stare insieme e collaborare. Io sono convinto, per esperienza personale, che ogni persona porta dentro di sé una parte divina. Di solito vien fuori in momenti di grande crisi è dimostrato dalle neuroscienze. Michael Gazzaniga, negli studi sulla dissimmetria del cervello, dimostra che in condizioni di crisi si diventa capaci di cose incredibili». Si può dunque essere ottimisti? «La creatività mi permette di verificare che c'è speranza. I rivoluzionari francesi dalla prima repubblica e i riformisti della terza erano fanatici dell'istruzione, erano convinti che serva a far crescere la gente, a rendere gli individui più autonomi e responsabili. Una volta che si capisce di avere un potenziale di invenzione, si crea e si va avanti insieme». Vuol dire che non è tempo di geni solitari? «Oggi non si fa niente, da soli. Per ogni scoperta importante c'è sempre un team, persone che si scambiano conoscenze e saperi, che comunicano, o ci provano. Le svelo una cosa: quando la gente saprà veramente comunicare, non ci sarà più bisogno di corsi di creatività». Ci svela in cosa consiste il suo metodo? «Il nostro approccio parte dal fatto che il talento può essere sviluppato senza limiti e a qualsiasi età, e che serve un metodo, come sappiamo da Leonardo in poi e grazie agli sviluppi di Cartesio. Per prima cosa, insegniamo l'ascolto. È talmente difficile da far parte delle arti fondamentali che veniva insegnata ai samurai. I giapponesi sanno ascoltare, non interrompono mai e non usano il no. Poi trasmettiamo strumenti di dialogo, regole e tecniche per lavorare in gruppo». Se gli venisse richiesto di mettere in moto il motore della Sardegna, da dove partirebbe? «Scopro una Sardegna ricchissima di persone bellissime e risorse di tutti i tipi, ma non utilizzate. È uno scandalo che si accetta per passività. Cercherei per prima cosa di attivare il governo, come ho fatto in Francia per alcuni Comuni e un Ministero, trasmettendo strumenti e tecniche. A Grasse, sulla Costa Azzurra, abbiamo formato animatori per diversi gruppi tematici (genitori, educatori, commercianti ecc.). Ogni gruppo ha presentato proposte e il sindaco le ha accettate tutte. Ora, al centro della città, esiste lo Spazio dei progetti e tutti sono invitati a proporre nuove idee». Lei ha lavorato anche per Telecom, Microsoft, Air France, Fiat ecc. Crede che si possa fare qualcosa anche in aree la cui economia è stata smantellata, come il Sulcis? «Non conosco la situazione del Sulcis, ma in Argentina, con i sindacati, sono state fatte cooperative e sono state rilanciati attività profittevoli. Magari sarebbe possibile anche qui, con l'aiuto pubblico. Faccio un altro esempio: circa quindici anni fa, la Granarolo era in grande crisi. Noi siamo stati chiamati per tirare su il morale dei lavoratori rimasti, dopo una pesante riduzione di personale. Abbiamo fatto seminari a cui hanno partecipato anche i direttori, con risultato che è ripartita la motivazione e l'azienda dopo due anni ha riassunto tutti lavoratori e fatto nuovi investimenti. Quando c'è volontà, onestà e rispetto per le persone, le soluzioni vengono fuori». Applica la creatività anche alla vita familiare, all'educazione dei figli? «Secondo i lettori, il mio titolo più utile è "Sopravvivere alla coppia" nato dalla constatazione che il rapporto di una volta non funziona più, nella società liquida: una coppia su due finisce col divorzio e chi non divorzia non è detto sia felice. Una coppia felice deve sapersi rinnovarsi in continuazione. L'educazione creativa dei figli richiede il saper voler bene in modo incondizionato e non ricattatorio e un equilibrio dinamico tra regole e libertà».