Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

“I beati anni dell'innocenza”, vite, inferni, ampri della Merini

Fonte: L'Unione Sarda
18 novembre 2013

Lo spettacolo di Isabella Carloni per la rassegna “La rosa bianca”

 

Per Alda Merini la poesia è stata una duratura e fedele compagna di viaggio. Mai un'arte scontata, piuttosto un dono imprevedibile, una grazia abbondante (tra libri, raccolte, plaquette e pubblicazioni varie, la sua opera è sconfinata), che nel tempo ha finito per conquistare anche chi non è un abituale lettore di poesia. Quattro anni fa, se ne è andata risucchiata in «quel gorgo/ di inaudita dolcezza», in quel «miele tumefatto e impreciso/ che è la morte di ogni poeta», ma non passa giorno in cui qualcuno non le renda omaggio. “I beati anni dell'innocenza”, bel lavoro portato in scena da Isabella Carloni l'altra sera a Pirri nel Teatro la Vetreria per la rassegna “La rosa bianca” curata dal Crogiuolo, offre una ricognizione sulla vita della poetessa dei Navigli, basata su un incontro-intervista tra la Merini e Antonio Lovascio, che firma la drammaturgia e la regia. In una scena dominata da una grande tela, scorre dolore, orrore, amore, humour, felicità, passione, fede, e tanti ricordi: le figlie «una più bella dell'altra», il mentore Giacinto Spagnoletti, gli amanti che regalarono «povertà e ricchezza» (tra loro, Giorgio Manganelli), Ettore Carniti, marito panettiere a cui piaceva bere e giocare a carte, e che la fece rinchiudere in un ospedale psichiatrico. La miseria più nera, l'editore Vanni Scheiwiller che la salvò «dall'oltretomba, dall'ombra del silenzio», la Milano di un tempo, piena di intellettuali, e quella di oggi, rovinata per colpa «di qualche imbecille che ha pensato solo a far soldi», le sorelle Fontana che cercavano in tutti i modi di farla entrare «in uno di quegli abiti a tubino perfetti solo per chi è magra».
E poi, gli anni del manicomio, i ricoveri, le terapie, gli amori consumati tra quelle mura, la figlia partorita durante la malattia, l'elettroshock, l'immensa gratitudine per il dottor G. Enzo Gabrici, che la portò alla guarigione e che la spronò a scrivere a macchina. Un bruciante viaggio nella vita, e una prova convincente della Carloni, salutata da caldi e lunghi applausi.
Carlo Argiolas