Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Liberiamo le piazze per salvare la bellezza

Fonte: La Nuova Sardegna
22 ottobre 2013

Paesaggio urbano 
 
L’urbanista Paolo Berdini interviene sul caso Cagliari 
 

 
 
 
 
 



di Giulia Clarkson

Dagli spazi urbani sottratti ai bambini al ragionamento sul futuro della città. L'invito a Cagliari, per l'ingegnere urbanista Paolo Berdini, membro del Consiglio Nazionale del WWF e blogger del “Fatto Quotidiano”, è giunto dal comitato e gruppo facebook "Piazzetta San Sepolcro: giocare liberi da gazebo e tavolini". Oltre 350 membri - tra essi molti genitori - per rivendicare uno degli ultimi avamposti, nel centro cittadino, in cui i più piccoli hanno potuto trovare, fino al circa un anno e mezzo fa, uno spazio di gioco e socialità, una piazza accogliente e protetta dal traffico, nel cuore della Marina. «Cagliari ha abbastanza locali commerciali, bar, ristoranti. Non credo che qualche decina di tavoli in più possa rimettere in moto l'economia. Dobbiamo invece diversificare intelligentemente la grande offerta della città, restituire vivibilità ai centri storici» dice Paolo Berdini, autore, tra gli altri, di "Le mani sula città" e "Breve storia dell'abuso edilizio in Italia dal ventennio fascista al prossimo futuro". ]Il destino di una piazza diventa stimolo per parlare del futuro della città. Che soluzione propone, per i centri storici? «Le città vanno viste nel loro insieme, non è possibile guardare al centro storico se non si ha il quadro esatto di quel che è successo e di quel si vuole che accada. Intanto fermiamo i grandi centri commerciali, che costringono a chiudere le botteghe di vicinato e rendono difficili la vita degli abitanti. Poi cerchiamo di organizzare un'accessibilità intelligente. Cagliari, ad esempio, non deve snaturare la bellezza della collina su cui sorge il centro storico. E ancora, pensiamo a una riqualificazione del centro che rispetti la sua stratificazione storica. Significa anche grandi investimenti, ma il momento è di grande crisi. L'investimento è il volano per una ripresa possibile. C'è da mettere in moto un sistema in stallo. Il guaio è che purtroppo l'Italia continua a buttare dalla finestra un mare di soldi per opere assurde. Le faccio un esempio: al tempo del ministro Passera erano previsti, per le grandi infrastrutture stradali, 100miliardi. E sa quanto era invece il fondo delle città, per tutti i comuni italiani? Appena due miliardi. Ecco, la bilancia non pende certo a favore dei comuni. Lo Stato deve comprendere che con gli interventi dei comuni, la riqualificazione delle attività portuali e altro, si può rimettere in moto l'economia». Città e centri storici, come farne luogo di comunità? «Grande domanda, a cui rispondo con una piccola esperienza. La Cittadella di Assisi, comunità cattolica con un 50ennio di vita, ritenendo fallito ormai clamorosamente il ventennio dell'individualismo, sostiene che serve ripartire da un nuovo concetto di comunità. L'Italia è ferma e non solo economicamente. Ripartire per ricostruire un fattore comunitario è una sfida che va presa alla lettera. È nelle città che si ricostruisce il volto delle nostre comunità, che sono elementi comunitari prima che economici. Siamo stati noi ad insegnare al mondo come si tengono le città, per centinaia di anni. Continuiamo a farlo». Tutela del paesaggio e del recupero urbano: esiste una decalogo, buone regole da tenere sempre a mente? «In Italia il meglio è nella carta di Gubbio, che si ispira al mantenimento delle radici culturali dei luoghi. Penso a comuni come Ferrara e Mantova, al perpetuarsi di una tradizione culturale e artistica millenaria. Capisco che per città come Cagliari, che hanno avuto danni devastanti dalla guerra, sia più difficile. Ma nella stessa Sassari, alcuni interventi lasciano di stucco. Si agisce con troppa disinvoltura, con modi scombinati, senza avere a cuore ogni cosa. L'obiettivo principale è pensare dove collocare il futuro di quel luogo». Perché si costruisce troppo e si consuma molto più suolo del necessario? « C'è una patologia tutta italiana, in questo, perché noi non abbiamo fatto i conti con la rendita fondiaria, come hanno fatto ad esempio nel nord Europa. La conseguenza che è l'attività economica dell'edilizia è molto più importante dei ricavi dei proprietari delle aree. Lì le imprese guadagnano il 10-15 % del capitale e per il resto fanno girare l'economia. Da noi invece il 50% se la prende la proprietà. Non ci siamo. Nel Nord della Sardegna sono arrivati i sovrani del Qatar. Ogni tema ci riporta nell’universo mondo». Ma le sembra che di fronte al fiume di denaro in circolazione, di cui i produttori di petrolio sono tra i principali detentori, possiamo mettere in vendita i nostri gioielli? «Vengano pure i capitali, ma dobbiamo pretendere che la qualità dei luoghi resti intatta e semmai migliorata, specie se sono eccezionali, come in Sardegna. Qui invece andiamo con il cappello in mano. Manca il guardiano del bene pubblico: i privati fanno il loro mestiere, ma il guaio è che da noi il pubblico non riesce a fare il proprio». Ha letto della vendita dell’isola di Budelli? «Diventiamo come la Grecia, che vende le isole più belle a società di dubbia provenienza, magnati russi o detentori di attività illecite. Chi è in difficoltà non vende i gioielli di famiglia, semmai li affida a giovani imprenditori, con bandi trasparenti affinché la rendano più bella ancora, oltre che produrre un certo reddito. Si figuri che nell'ultimo decreto per il rilancio dell'economia, sebbene non sia chiarissimo, si prevede la vendita delle spiagge a chi ne ha avuto finora la concessione. Roba assurda». Politica e lobby dell'edilizia, è un nesso comprovato? «Addirittura palese. Sono 20 anni che ogni legge che esce dal Parlamento fa balenare sempre l'orizzonte che è solo con il mattone che rimettiamo in moto l'economia. Il Piano Casa è fallito in tutta Italia perché abbiamo costruito troppo. Servirebbe invece finanziare il piano delle città. Ma un vero piano con ristrutturazioni dentro un progetto organico, non l'aumento di un piano di una villetta. Il futuro di un paese si gioca nel futuro delle città. Purtroppo oggi il tema vero è: come ricostruiamo il volto dello Stato? Come ricostruiamo la funzione pubblica? Purtroppo credo che non potrà essere la mia generazione a rispondere».