FESTA ARTE E COMUNITà
Il sociologo Jean Louis Fabiani ieri a Cagliari Il rapporto tra web e crisi delle democrazie
di Daniela Paba
Tra il parkour sui palazzoni di Sant'Elia, l'intervento di Lotte Van den Berg al mercato della domenica, i canti sacri di Alia Sellami, al primo piano del Lazzaretto si discute di Democrazia 2.0, reti sociali e pensiero critico ai tempi di Internet. Protagonisti dell'incontro, organizzato da Malik, il sociologo francese Jean Luis Fabiani e il suo collega spagnolo Mario Ortí Mata, coordinati dallo scrittore Gianluca Solera. Divise tra l'ottimismo con cui si guarda alle reti sociali e il catastrofismo cybernetico, le generazioni attuali faticanoa conquistare insieme alla parola lo spazio d'azione per un pensiero critico. «Sembra che ogni progresso tecnico-scientifico – ha esordito Fabiani – contenga in sé una promessa di egualitarismo, dalla invenzione della stampa a Twitter. A dispetto di ogni smentita, persistiamo nel pensare che la tecnologia porti nuovi tipi di relazioni sociali». Il sociologo francese ha ricordato ai sognatori che è necessario considerare con distacco le più recenti trasformazioni della sfera pubblica e gli effetti delle reti sociali «Quelle che abbiamo chiamato primavere arabe – ha spiegato Fabiani – e i loro collegamenti con i movimenti degli Indignados e Occupy ci hanno colpito perché hanno associato la presa di parola a uno spazio pubblico, o meglio la produzione di uno spazio pubblico per prendere la parola». Tra tante differenze tutti i movimenti hanno in comune l'occupare uno spazio: «L'occupazione non di un luogo di lavoro o di quello simbolo di oppressione, ma di uno spazio pubblico. L'accampamento si distingue dalla manifestazione tradizionale perché va al di là dell'affermazione di una rivendicazione, designa invece la possibilità di un altro mondo, prefigurando, come è successo a Zucotti Square e a piazza Tahrir, lo sviluppo un doppio canale di comunicazione: la rappresentazione del collettivo a se stesso, la sua compresenza e orizzontalità. L'occupazione produce visibilità collettiva». Come ai tempi della presa della Bastiglia, come nel '68, prendere la parola è liberarla, la contestazione pone il problema della relazione tra dire e fare nello spazio politico. «Ma quelli che parlano vogliono davvero la rivoluzione o la protesta si limita alle parole?». Torna il problema della rivoluzione o della sua rappresentazione spettacolare: «L’avvenimento è condannato a segnare la sua unicità, la sua stagionalità (la primavera araba è stata rapidamente seguita dall'autunno) o è capace di promuovere una nuova forma di democrazia? Due questioni bisogna tener presenti a proposito delle reti sociali: la prima concerne la stanchezza delle democrazie rappresentative, affette da apatia politica anche se come sostituirle non è chiaro; la seconda è l'aspirazione alla democrazia che si afferma nei paesi a regime dittatoriale. Questa è per natura destabilizzante nel senso che mette in discussione equilibri geopolitici che chiamiamo “stabilità”. « La sfera pubblica culturale attuale – ha concluso Fabiani – vede tre grandi orientamenti: il populismo acritico, il sovvertimento radicale e l'intervento critico. Resta da capire a quali condizioni i nuovi media, attraverso le reti sociali, possono contribuire a intensificare e stabilizzare uno spazio critico, perché la democratizzazione dell'accesso alla capacità critica costituisce la questione politica più importante oggi». Attivista politico attento ai movimenti, Mario Ortí Mata ha spiegato come Internet si è trasformata nella nuova incarnazione del mito illuminista dell'ideale del progresso: «In poco meno di vent'anni siamo passati dal cyber-ottimismo più assoluto al cyber-catastrofismo nichilista e se il movimento degli Indignados è tuttora un mito che non ha cambiato la relazione reale tra le forze sociali in Spagna, tuttavia ha riorganizzato profondamente lo spazio ideologico spagnolo. Le vittime della crisi hanno smesso di poter essere rappresentate come i colpevoli e ha certamente rallentato e debilitato la possibilità di uno sbocco reazionario da parte dell'estrema destra. Resta, tra il dire e il fare, la necessità di un'azione quotidiana comune e l'organizzazione pratica per quell'azione». Per Ortì Mata «la primavera araba è stata ed è un mix tra forme moderne di comunicazione, organizzazione popolare di taglio proletario e cultura comunitaria di base. Chissà se il Sud Europa avrà l'occasione di rieditare la sua resistenza in modo un po' più collettivo e vincente. Forse allora non saremo solamente alcuni tra i paesi con il maggior numero di utenti Facebook».