Rispetto rigoroso delle regole e comprensione per limitare i problemi
Due anni fa, al Tour de France , la più importante corsa ciclistica del mondo, un corridore che era in fuga (quindi al comando della tappa) fu fatto cadere da un'improvvida manovra di un'auto al seguito. Se la cavò con qualche escoriazione, ma perse le proprie chance di vittoria. L'esempio fa capire come la convivenza di auto e biciclette sulla strada non è mai semplice. Alcune considerazioni, però, possono renderla meno conflittuale e la prima è che molte persone che praticano il ciclismo in modo sportivo o turistico (compreso chi scrive), in altri momenti della giornata sono anche automobilisti o motociclisti. La seconda - conseguente - è che se uno non rispetta le regole del codice stradale e le esigenze degli altri utenti della strada, lo fa a prescindere dal mezzo su cui è seduto. Lasciando la macchina in doppia fila o camminando con la bici a fianco a un altro ciclista: due modi per occupare lo spazio destinato alla circolazione. La terza: da sempre il ciclismo si pratica su strada e da lì non può (e non deve) sloggiare.
FILA INDIANA Chi va in auto soffre le situazioni in cui la bici (veicolo più lento) occupa la carreggiata. Pedalare affiancati è consentito in città, se la larghezza delle carreggiata lo consente, ma non nelle strade extraurbane. Tenere rigorosamente la destra è obbligatorio, ma soprattutto è consigliabile per i ciclisti che vogliano limitare i rischi per la propria incolumità. Ma spesso la presenza di alberi a bordo strada porta le radici a creare micidiali gobbe nell'asfalto che il ciclista è costretto a evitare.
SORPASSI Quando i ciclisti escono in gruppi, anche piccoli, devono necessariamente alternarsi in prima posizione. Chi sta davanti prende più vento e fatica di più, perciò è normale che ogni tanto ci si scambi le posizioni. E d'altra parte, non sempre il sorpasso di un'auto a una bicicletta è autorizzato. In tutti i casi, un po' di pazienza sortisce un effetto migliore di un colpo di clacson, che irrita il ciclista. Agevolarsi a vicenda renderebbe tutto più semplice e sicuro.
DUE FAZIONI Purtroppo automobilisti e ciclisti si sentono spesso come opposte fazioni in quella che ormai è una vera e propria guerra di principi. Nella quale sono due i comportamenti peggiori: da parte dei ciclisti l'atteggiamento minaccioso e provocatorio (tipico di situazioni di gruppo numeroso); da parte di chi sta in auto - e non si rende conto che chi sta pedalando è in un momento di intenso sforzo fisico -, l'insulto e lo scherno.
Carlo Alberto Melis
L'INTERVISTA. Meloni (Fci)
«Il Codice tuteli
i gruppi di corridori
in allenamento»
Salvatore Meloni, 68 anni, dal 1968 è stato prima segretario, poi presidente della Federciclismo regionale ed è consulente del presidente Renato Di Rocco per i rapporti con il Parlamento e le questioni legislative e fiscali.
Perché il ciclismo paga un prezzo così altro in termini di vite umane?
«Il problema è sempre la cultura ciclistica, che nella nostra Regione è ancora carente. Qualche giorno fa a Milano ho visto un dirigente di Mediobanca uscire dal suo ufficio in piazzetta Cuccia con la city bike. Cambiamo il concetto che la bici è sinonimo di povertà e avremo fatto un vero passo avanti».
Qual è il legame con gli incidenti?
«Lo scarso rispetto che l'automobilista riserva a chi va in bicicletta».
E viceversa.
«È vero. Noto anche nel ciclista un comportamento non sempre corretto. Un esempio banale: le bretelle fluorescenti sono obbligatorie dopo il tramonto e nelle gallerie. Eppure pochi le usano».
E il casco? Perché tanti lo rifiutano?
«Non lo so, ma resto a chiedermi perché quando in Parlamento si è discusso sulla sua obbligatorietà, tutti sembravano concordi. Poi, con grande sorpresa di molti e primi fra tutti la Federazione, quest'obbligo è venuto meno persino per i bambini. Eppure noi del ciclismo sappiamo quante vite ha salvato».
Cosa consiglia la Fci a chi va in bici?
«Rispettare in pieno il Codice della strada, che impone di andare in fila indiana. Pedalare sulle piste ciclabili, dove ci sono. Le corsie della provinciale per Villasimius sono criticabili, ma vanno utilizzate. Purtroppo sono sempre sporche e molti temono di bucare».
Le piste ciclabili servono anche per il ciclismo sportivo?
«Se fossero realizzate correttamente, separate dalla carreggiata, sì. È un modo per proteggersi, almeno sino a quando non si esce dalla città. Poi c'è da fare un altro discorso. Cagliari investe soldi per realizzare corsie ciclabili, ma è l'unica città in Italia che chiede mille euro a un organizzatore per pulire le strade di una corsa ciclistica. Che promozione è?».
Come si può migliorare la situazione?
«A ottobre incontreremo il sottosegretario ai Trasporti per suggerire le nostre modifiche al Codice stradale. Una riguarda la tutela dei corridori in allenamento, come avviene in gara, con le auto di inizio o fine corsa. Non si può impedire un'uscita di gruppo, ma è necessaria una protezione con un'auto. Purtroppo è un lungo iter». ( c.a.m. )