Dopo il successo dei due “pride” molti operatori offrono servizi e accoglienza dedicati agli omosessuali
Dejana (Arc): «Città aperta e tollerante come le grandi metropoli»
Cagliari città aperta. E probabile sede del Gay Pride nazionale nel 2014. Vent'anni fa non si poteva neppure usare la parola “omosessuale” sui manifesti che pubblicizzavano rassegne di cinema, oggi il sindaco sfila in prima linea accanto ai militanti e alle drag queen, i locali notturni sono citati nelle guide internazionali del settore e albergatori e agenzie di viaggio lavorano per catturare una fascia di turisti che in tutto il mondo fa registrare affari d'oro. Diritti & business crescono assieme, e non soltanto perché i tempi cambiano. Da nord a sud è lungo l'elenco di episodi di emarginazione e violenza. Tanto che uno dei settimanali più diffusi ha titolato di recente in copertina L'Italia antigay . Tanto che la legge sull'omofobia ha scatenato in Parlamento una vera e propria guerra di religione tra i partiti di maggioranza. Tanto che esponenti politici di spicco commettono reati odiosi soltanto aprendo la bocca. Insomma, nel terzo millennio non è per niente scontata la tolleranza verso chi ama persone dello stesso sesso.
Cagliari è diversa, nonostante la posizione geografica e la dimensione ridotta, somiglia a Londra, Berlino, Barcellona. Lo dicono Carlo Dejana e Carlo Cotza, presidente dell'Arc e portavoce della “Queeresima”. «Qualche offesa verbale c'è, ma siamo convinti che si tratti soltanto di rari casi di ignoranza e stupidità. Organizzare in città manifestazioni come il “Pride”, insieme con proiezioni, dibattiti, spettacoli, contribuisce a modificare la percezione verso la comunità omosessuale, le battaglie per i diritti civili, la presa d'atto dei cambiamenti già avvenuti nella realtà». La prima edizione del corteo ha avuto un discreto successo, la seconda, l'anno scorso, una partecipazione eccezionale. Ora si pensa di tenere qui, a giugno, la versione nazionale. «Quando ci sono questi grandi eventi la gente si sposta», spiegano gli organizzatori, «oltre il discorso culturale e sociale, bisogna tenere conto anche di quello economico. L'anno scorso a Cagliari i bed and breakfast che hanno aderito alla voce “accoglienza” sul sito, hanno registrato il pienone. Ora stiamo pensando di fare un convegno con le organizzazioni di categoria per capire come lanciare l'idea - strutturata - di città gay friendly ». Da una ricerca presentata la settimana scorsa all'Expo turismo Gay a Milano, emerge che il volume d'affari generato dai viaggi Lgbt (lesbian, gay, bisex, transgender) in Italia si aggira tra i 2,5 e i 2,7 miliardi di euro. Il campione dello studio è formato principalmente da persone laureate (37%) e diplomate (44%), con un lavoro qualificato (liberi professionisti, dirigenti, impiegati), una capacità di reddito elevata, l'abitudine a fare più vacanze all'anno e spostarsi spesso nei week end. «Conosco bene la questione, si tratta di un target molto definito che dovrebbe essere attirato in ogni modo», sottolinea l'assessore comunale al Turismo, Barbara Argiolas. «Noi per ora abbiamo sostenuto il Pride e continueremo a farlo, e lavoriamo sulle azioni che promuovono la nostra città come ospitale e sicura per tutti, ad esempio, per le donne sole». Sul portale istituzionale cagliariturismo.it si legge che la spiaggia di Cala Fighera, «è un luogo privilegiato per il naturismo e la vita gay». Affittacamere Castello «offre ambienti confortevoli per coppie gay e lesbo». TripSardinia, agenzia privata, «offre assistenza ai turisti che vogliono intraprendere una vacanza tra i luoghi gay friendly dell'Isola». La proprietaria, Claudia Lanero, spiega «che i locali consigliati sono il discoclub Go Fish, qualche chiosco al Poetto - il Chiringuito e il Bikini - l'Elfo, alle scalette di Santa Chiara».
Conferma Laura Grasso, storica presidente dell'Arci Gay fino al '98: «Quello che abbiamo fatto noi in un'altra epoca, quello che fanno ora i ragazzi delle associazioni, una intellighenzia di alto profilo, hanno contribuito a costruire una città aperta, vivace, accogliente, colta. Certo, vent'anni fa non c'erano club. Il primo, ufficiale, nel 91, è stato il David, a Bellavista, lo abbiamo inaugurato dopo che io e l'allora sindaco di Quartu, Graziano Milia, avevamo stipulato una sorta di accordo non scritto con la polizia: garantivamo che non ci sarebbero state risse, non avrebbe circolato droga né sarebbero entrati minorenni. A quel punto ci avevano dato l'ok. Ma era un periodo in cui la parola omosessuale veniva censurata, i neonazisti ci scrivevano sul muro del Due Palme che ci volevano gassare con lo Ziklon B, la Digos ci doveva proteggere durante le manifestazioni perché c'era chi veniva a minacciarci con le spranghe».
Sandro Gallittu, responsabile dello Sportello “Nuovi diritti” della Cgil (contro la discriminazione per l'orientamento sessuale e l'identità di genere») è d'accordo: «Cagliari città aperta, sicuramente, ma non dobbiamo abbassare la guardia. Sul posto di lavoro capita ancora che un gay venga fatto oggetto di scherno e battute da caserma. Noi abbiamo avuto un caso, e lo abbiamo risolto parlando con il responsabile dell'azienda dopo la denuncia della vittima. Ma un altro è invece una missione impossibile: un transessuale che non riesce a farsi assumere da nessuna parte. Quando i possibili datori di lavoro scoprono l'incongruenza tra il documento di identità e l'aspetto fisico, gli sbattono regolarmente la porta in faccia».
Cristina Cossu