Lo sfogo di Cellino: «Il Cagliari col Catania al Sant’Elia? Non ne sono sicuro»
CAGLIARI «Ormai siamo gli zingari d’Italia. Viviamo una situazione assurda e insostenibile». Lo sfogo di Massimo Cellino matura nel cuore della notte. Il pareggio con l’Inter è ancora freschissimo. Ma non rasserena il patron. Anzi: «Ci fischiano e ci insultano. Offendono i quattro mori in casa nostra. E non si tratta di un gruppetto di ultras. La verità? Siamo diventati un peso ovunque». Un’amarezza che riporta al 2012, ai primi viaggi in Venezia Giulia. Ma stavolta, c’è qualcosa di nuovo: «A Trieste non ci mettiamo più piede: ho i giocatori sul piede di guerra. Se non giochiamo al Sant’Elia per il Catania il 19 ottobre, piuttosto andiamo a Livorno». Il presidente del Cagliari ne ha per tutti. E l’idea che rovesci il tavolo è quanto mai concreta. «Al Sant’Elia è tutto fermo. Dopo tanti buoni propositi e una valanga di gente in fila a dire che si aveva a cuore il futuro della squadra e della tifoseria, sta andando tutto al rallentatore. E qualsiasi cosa accada, per coprire magagne e lentezze, diranno che la colpa è sempre mia, perché sono arrogante e non ho pazienza. Intanto, prendono in giro migliaia di cittadini». Nel dettaglio? «Proprio come è successo a Is Arenas, nascono cavilli e magagne. A Quartu, ci chiedevano una porta in più, gli estintori di qua, la cabina di là e noi abbiamo eseguito. Sappiamo come è andata a finire. Al Sant’Elia la solfa è simile: venerdì abbiamo portato i progetti in Commissione. Credo che la Asl abbia chiesto una variante. I miei tecnici e i miei legali hanno accettato: li ho presi al collo, significa che una volta apportata la modifica, si perdono altri due mesi e si riparte da capo». Ma col Catania, il 19 ottobre, almeno per cinquemila spettatori ci sarà il via libera? «Non ne sono sicuro. Ma una cosa è certa: dobbiamo puntare ai sedicimila posti. Altrimenti, siamo fregati». E il feeling col Comune? «Sono ancora fiducioso ma c’è qualcuno che vuol metterci i bastoni tra le ruote. Se non sono simpatico, attacchino me. Ma la squadra e gli sportivi sardi hanno il diritto di veder la fine del pellegrinaggio. Comunque, a Trieste non torniamo. Forse, accetto l’invito a Livorno del dottor Cardona: il prefetto ci accoglierebbe a braccia aperte». Che roba è? «Il segno che la misura è colma. A giugno sarebbero andati via tutti i giocatori se non avessero avuto certezze sullo stadio. Per contratto firmano per giocare in casa a Cagliari e non in giro per l’Italia. C’è una segnalazione all’Associazione calciatori, potrebbero scioperare e hanno ragione». Su Twitter, Pinilla e Nainggolan ironizzano amaro sul dover giocare a Trieste. Dicono di voler comprare casa lì. «Sono esasperati, li capisco. Da un anno mezzo avanti e indietro in aereo, vivendo tra alberghi e ristoranti, senza tifosi né incasso, buttando una valanga di denaro: una trentina di milioni tra Is Arenas e Sant’Elia. Tutto questo è folle. Intanto, mi sono fatto anche tre mesi di prigione. E qualcuno dirà che uso i giocatori strumentalmente». «Il mio obiettivo è vedere un po’ di calore per la squadra e i tifosi da parte delle istituzioni. Se vogliono il Cagliari al Sant’Elia, lo dimostrino. In fretta e con atti concreti. Anche perché la verità, prima o poi, viene a galla». Mario Frongia