Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Nei conventi un tetto per i disagiati

Fonte: L'Unione Sarda
12 settembre 2013

A Cagliari l'indicazione del Papa è stata adottata da tempo
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«Il Papa ha gettato non una pietra, ma un macigno nello stagno». Padre Salvatore Morittu commenta così le parole di Francesco, l'ennesimo scossone a un mondo cattolico troppo morbido e benpensante, quando implora che i conventi vuoti siano aperti a «persone costrette a situazioni disagiate e degradanti senza la possibilità di pensare ad un nuovo futuro». Nel 1980, creando non poco scompiglio, il convento francescano di San Mauro, nel quartiere cagliaritano di Villanova, veniva aperto ai tossicodipendenti e «a Sassari la Casa famiglia per i malati di Aids», precisa ancora padre Salvatore «è la perla incastonata nel convento dei frati di Sant'Antonio, dove sono accolti anche il centro di accoglienza e quello per il lavoro».
A Cagliari le parole di Papa Francesco, sempre alla fine degli anni '80, hanno trovato terreno fertile e concreta attuazione anche fra i Vincenziani. Quando suor Anna Cogoni e padre Sergio Visca, scomparso di recente, accolsero nella grande struttura dell'Asilo di San Giuseppe, semivuota, il Centro di Accoglienza “San Vincenzo” per i ragazzi di strada dei quartieri a rischio di Cagliari o per minori segnalati dal Tribunale.
Con il calo delle vocazioni, fenomeno che non risparmia alcun ordine religioso, anche a Cagliari, con una progressione irrefrenabile, è serio il problema di contenitori, soprattutto in centro storico, alle prese con degrado e manutenzioni latitanti, avviati - in assenza di destinazioni alternative - all'abbandono o all'inevitabile chiusura. Emblematico il caso del Monastero delle Monache Cappuccine, annesso alla chiesa della Beata Vergine della Pietà, nella parte alta del quartiere della Marina. Oggi la comunità è formata da un piccolo gruppo di monache, alcune molto anziane, sostenute, anche economicamente, da una rete di fedelissimi amici.
Altro grosso complesso è quello dei padri Gesuiti, in via Ospedale, che comprende l'ex Ospedale Militare, la Chiesa di San Michele e la Casa dei confratelli di Papa Francesco. Anche in questo caso, parte del Convento è stata aperta per ospitare un pensionato per studenti universitari.
Una scelta simile fu anche quella dell'allora arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Mani, quando mise mano ad un'imponente opera di restauro del Seminario diocesano, destinando un'ala della struttura ad un Campus universitario, in funzione e in grado di offrire un servizio qualificato.
«Il Papa parla il linguaggio della gente e ci costringe a vedere oltre il dito», afferma don Marco Lai, direttore regionale della Caritas. «Ci obbliga a rivedere il sistema-chiesa, le parrocchie. Troppo spesso chiuse alla liturgia e alla catechesi ma lontane dalle famiglie senza casa, dai padri separati, dai senza fissa dimora».
Don Lai ricorda come molte canoniche siano state aperte per l'accoglienza di immigrati nordafricani, anche nel recente passato, ma «non dobbiamo dimenticare», aggiunge, «che molti ordini religiosi non sono affatto padroni in casa loro, ma inquilini dello Stato, che ha incamerato molti di questi beni, un tempo loro proprietà».
A Cagliari conventi vuoti non ce ne sono. Forse l'unico è il mega-istituto dei padri Saveriani, in via Is Cornalias, che i religiosi vorrebbero alienare ma che, al momento, non trova acquirenti. «Per il resto», dice ancora don Marco, «tutto o quasi viene utilizzato. Dalla struttura del Seminario al complesso dei Salesiani di viale Fra Ignazio, con la scuola e l'oratorio. Proprio di recente la diocesi ha acquisito dall'Ordine Mauriziano la proprietà della Basilica di Santa Croce in Castello: diventerà una Casa di accoglienza della Caritas».
Paolo Matta