Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Protesta dei migranti, città bloccata

Fonte: L'Unione Sarda
3 settembre 2013

La contestazione è iniziata negli uffici della Prefettura ed è proseguita in via Roma. Traffico in tilt

 

Sit-in degli ospiti del Cpa di Elmas: viviamo in condizioni impossibili


«We want freedom», vogliamo la libertà, gridano seduti per terra in via Roma. La protesta di un centinaio di migranti (tra loro anche una decina di donne), ospiti del Centro di prima accoglienza di Elmas, si sposta dalle campagne della zona militare dell'aeroporto e arriva fino al cuore della città, davanti al Municipio. Per tre ore e mezza, dalle 13 alle 16,30, occupano il centro, organizzando un sit-in pacifico, controllato da polizia, carabinieri e polizia municipale, che manda in tilt il traffico.
LA CONTESTAZIONE Una protesta cominciata già in mattinata, davanti agli uffici della Prefettura di viale Buoncammino, e proseguita poi in via Roma. Denunciano «condizioni di vita impossibili per un Paese civile come questo», e chiedono «alle istituzioni di intervenire al più presto per accelerare le pratiche per il riconoscimento dello status di rifugiati». Per lo Stato sono persone “richiedenti asilo politico”, senza quel documento che certifichi la loro situazione non possono lasciare l'Isola, se non da clandestini, per tentare di raggiungere in Francia, Germania o nel resto dell'Italia, familiari e amici. «Siamo fuggiti dalla guerra e dalla fame per andare in un Paese libero, ma la nostra vita, adesso, è come quella di un carcerato», dice Khaled, 21 anni, scappato dalla guerra in Eritrea.
IL VIAGGIO Sono giovanissimi, hanno un'età compresa tra i 18 e i 33 anni. Arrivano soprattutto dai paesi dell'Africa orientale, Eritrea, Etiopia, Sudan e Somalia. All'inizio dell'anno hanno affrontato “il viaggio della speranza” su uno dei tanti barconi diretti a Lampedusa, poi poco meno di tre mesi fa sono stati trasferiti nella struttura di Elmas «dove siamo costretti a dormire in 12 per ogni stanza e le condizioni sanitarie sono precarie», raccontano. «Non ci resta altro da fare per farci sentire, perché purtroppo nessuno ascolta la nostra voce», dice Abdullah, 29 anni, somalo.
LA VIABILITÀ Inevitabile il disagio per gli automobilisti: dal Largo Carlo Felice si poteva svoltare in via Roma, ma non proseguire verso il porto; impossibile andare in direzione viale Diaz per chi percorreva la via Roma all'altezza di piazza Matteotti. «Quello che è accaduto ieri è il segnale di un profondo malessere», dice Silvio Lai, senatore Pd. Alle 16,40 la mediazione delle autorità convince i migranti a lasciare il presidio in via Roma per incontrare il viceprefetto. Mentre una delegazione raggiunge la Prefettura, don Marco Lai, direttore della Caritas, incontra i migranti in Piazza Matteotti e annuncia che metterà a disposizione degli ospiti del Cpa di Elmas la mensa e l'ambulatorio medico. Durante l'incontro in Prefettura, terminato alle 19,30, il rappresentante del Governo ha spiegato che le pratiche per il riconoscimento dell'asilo politico sono bloccate a Roma. I manifestanti hanno comunque deciso di trascorrere la notte in piazza Matteotti.
Mauro Madeddu 

 


Testimonianze

Storia di Yasin
saltato
su una mina


Ci sono tante storie dietro la manifestazione di protesta dei migranti in via Roma. Come quella di Yasin, 33 anni, somalo. Lui è vivo per miracolo, nel suo paese è saltato su una mina antiuomo e sulla schiena porta ancora i segni. Le bruciature gli impediscono qualunque movimento “normale” per chiunque altro. Come se non bastasse, da sotto l'ombelico parte un tubicino che collega il colon con una sacca che drena un liquido giallo che gli si forma in pancia. «Ho chiesto tante volte di essere visitato da un medico, ma ogni volta mi dicono che devo aspettare». Un dottore di sicuro lo ha visitato, dal momento che ci sono ancora le tracce della medicazione, ma quello che chiede «è di essere curato bene».
Hedaga è una ragazza somala di 25 anni, vorrebbe lasciare la Sardegna per raggiungere i familiari in Francia. Tra le donne scese ieri in strada in Via Roma, è l'unica che parla un po' di inglese, oltre l'arabo. Ha lo sguardo triste, sofferente, complice anche la giornata di caldo, ma soprattutto perché «continuo a vivere in un luogo dove non vorrei stare». Sofferenza, rabbia e dolore intrecciano tutte le loro storie. Quella di Hamza, per esempio: ha 23 anni, viene dal Sudan, e racconta che avrebbe necessità di un'oculista. «Non vedo quasi più, ho paura di diventare cieco. E matto», racconta, «perché sento sempre tanto dolore alla testa». Anche lui, come Yasin, che ha conosciuto a Elmas, è sfuggito a una bomba nel suo paese: ha riportato varie ferite e ora «ho paura di perdere la vista».
Maye di anni ne ha 21. Ha ricci gonfi, unghie colorate e un sorriso strozzato quando si tocca la pancia. «Mi faceva sempre male», dice, «sono stata ricoverata per un periodo, adesso ho di nuovo gli stessi dolori». È andata via dall'Etiopia assieme a un fratello (ora in Inghilterra) di notte, mentre i genitori a casa pregavano che tutto andasse bene. Ce l'ha fatta dopo due settimane di onde alte, poco pane e acqua ancora meno. (ma.mad.)