Chiude lo storico asilo di Marina e Stampace, in via Baylle. «Non parlerei di chiusura, io credo ai miracoli»: minuta, vestita in modo elegante e puntigliosa, Marinella Salaris è la presidente della Fondazione che gestisce l’istituto dove all’inizio del secolo scorso approdò suor Nicoli, la beata che si prese cura de “is picciocus de crobi ”. Dal suo ufficio sono partite tre lettere di licenziamento per le maestre che anche ieri mattina, sul patio esterno, si occupavano dei bambini. Anche se non vedono stipendi da più di dieci mesi. Alcune colleghe avevano lasciato già a settembre scorso: non avevano garanzie sui pagamenti arretrati né sulle buste paga future, così hanno mollato. Uno stillicidio sopportato da chi è rimasto. E dai genitori dei piccoli alunni. Ma l’emorragia di iscrizioni, pare, è stata forte. Tanto che i numeri per l’anno prossimo, questa è la spiegazione della Salaris, non garantiscono la copertura dei costi. Conseguenze: preavviso di licenziamento per chi è rimasto, una battaglia legale per il recupero delle decine di migliaia di euro di arretrati. E il tracollo dello storico asilo cagliaritano. Ma l’edificio non resterà vuoto, nemmeno se i bambini dovessero rimanere fuori. In ballo, tra gli altri, c’è il progetto Marinando, di Enel Cuore e dell’associazione Donne al Traguardo, che ha fatto piovere 290mila euro sul quartiere. E in parte sulla Fondazione, coinvolta in varie iniziative.
LE ACCUSE DEL SINDACATO Per le maestre non sembra esserci spazio. La raccomandata spedita martedì prevede i sessanta giorni di preavviso, poi andranno a casa. Hanno stretto i denti, senza essere pagate, ma non è servito. Un gruppo di loro, tra quelle che hanno abbandonato prima, si è rivolto all’avvocato Francesca Aramu: c’è chi vanta crediti per dieci mensilità, chi di più. «Una situazione drammatica per le dipendenti», spiega Angelo Concas, sindacalista Snals che segue da tempo la vicenda, «ma anche un danno d’immagine per Cagliari, che perde una scuola storica senza che nessuna istituzione faccia niente per salvarla». Concas ha cercato la trattativa, ha provato ad aprire il più classico dei tavoli di confronto. «Ma niente, nessuna risposta da parte della Salaris», attacca. E pone una domanda: «La direzione lamenta il mancato versamento dei contributi da parte della Regione. Ma questo vale anche per altri istituti, perché alla Marina si chiude?». Ha provato ad avere delle risposte, non c’è riuscito: «Il 21 marzo ho chiesto di visionare i bilanci, che dovrebbero essere pubblicizzati: non ho ricevuto risposta. Il 28 giugno allora», aggiunge Concas, «ho scritto alla direzione scolastica regionale per chiedere una visita ispettiva». La sua lettera si conclude con la minaccia di rivolgersi alla Procura, «per capire se esistono delle irregolarità nella gestione dell’i st i t uto »
. LA DIFESA DELLA FONDAZIONE Nel consiglio di amministrazione prima sedevano anche nominati dal Comune. «Da dicembre siamo una Fondazione, il capitale è privato». La Salaris difende il suo operato. È convinta, e lo dice, di aver lavorato al meglio: «I nostri dipendenti si sono visti versare tutti i contributi, questo è fondamentale per avere il Durc in regola e partecipare a progetti». I motivi della crisi, sostiene, sono legati alle lungaggini sui finanziamenti: «La Regione ci ha pagato in ritardo, e comunque cifre che coprono solo il quaranta per cento delle spese. Dal Comune, che è regolare nei pagamenti sul contributo mensa, riceviamo poca roba. Purtroppo non tutte le famiglie onorano la retta, ma abbiamo deciso di tenere tutti i bambini, nonostante le difficoltà». Tre anni fa c’erano solo otto iscritti, aggiunge, nell’ultimo anno più di trenta, tra scuola materna e sezione sperimentale: «Ma non si possono sommare», dice la Salaris nel suo ufficio. Pare che farlo sarebbe come mischiare pere con mele e non si darebbe una giusta rappresentazione della realtà. Che è fatta di una scuola paritaria in crisi, di licenziamenti, di bambini che non ci sono più, famiglie costrette a emigrare dal quartiere. Questa è la realtà adesso. «Ma non dite che chiudiamo. Diciamo che l’attività è sospesa». Le maestre licenziate («è solo un preavviso», tiene a precisare la Salaris) non riescono a capire la differenza.
Enrico Fresu