Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Il mondo femminile nell’arte giapponese

Fonte: La Nuova Sardegna
1 luglio 2013

 
"Oggetti per passione": a Cagliari fino all’otto settembre una mostra a Palazzo di città e nel Museo Cardu 
 
 
 
 
 

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di Gianni Olla wCAGLIARI Le figure di Suzuki Harunobu, "donne di piacere" intente alla loro toilette o, più semplicemente, assorte in uno stato di contemplazione, introducono idealmente gli "Oggetti per passione" in mostra, fino all’otto settembre, negli spazi museali civici del Palazzo di città e del Museo Cardu. L'esposizione, il cui sottotitolo è "Il mondo femminile nell'arte giapponese", è stata curata da Anna Maria Montaldo – direttrice dei Musei Civici – e da Loretta Paderni, studiosa, che ha proposto e curato una parte della sezione nipponica del Museo Preistorico e Etnografico Luigi Pigorini di Roma, raccolta alla fine dell'Ottocento dallo scultore siciliano Vincenzo Ragusa, insegnante di belle arti occidentali a Tokio dal 1876 al 1882. Furono più o meno gli stessi anni in cui il cagliaritano Stefano Cardu, figlio di commercianti ed egli stesso avventuroso imprenditore, si stabilì nel Siam, fece fortuna e mise assieme una collezione di oggetti orientali a cui è dedicato un apposito museo comunale. Qui è esposta parte della collezione Ragusa, come assaggio e confronto immediato tra i due viaggiatori. Nel Palazzo di città sono state allestite, invece, le tre sezioni dell'esposizione principale, dedicate alla Presentazione in pubblico, alle Arti predilette (conversazione, recitazione, musica, calligrafia e pittura - quasi uno stesso universo - "ikebana", ovvero composizione dei fiori, cerimonia del te), ed infine ai Momenti di svago, tra i quali spicca il grande gioco di strategia del "Go", quasi antagonista degli scacchi indoeuropei. Al di là dell'ammirazione per la bellezza degli oggetti, siano essi i meravigliosi "kimono", i vasi, i portaoggetti in legno, i minuscoli tavolini con gli strumenti calligrafici, la sala dei ventagli, sospesi in aria per dare modo di vederli nelle due facce, ricamate e dipinte come fossero emblemi di casta, si pensa alla considerazione di Italo Calvino sul "tempo fermo" di quella cultura, sempre alla ricerca di un costante perfezionamento di archetipi che nascono, a quanto sembra, nel I secolo, e arrivano, senza troppe varianti, alla modernizzazione del periodo Meji, alla fine dell'Ottocento, quando anche il Giappone fu costretto ad aprirsi all'Occidente. E non a caso questo mondo separato è prevalentemente femminile, legato a due forme di separatezza: la cultura di corte e la vita ritirata delle "donne di piacere". Le donne del Settecento di Harunobu – ritratte in un bellissimo libretto xilografico, anch'esso esposto – simbolicamente, sorvegliano le sale della mostra come per segnalare l'esclusivo spazio femminile che, appena qualche decennio dopo, con le opere grafiche, esplicitamente erotiche, di Utamaro, avrebbe rivelato anche la raffinatezza sensuale del Giappone. E non a caso proprio questa esclusività, anche oggi apparentemente distante dal mondo occidentale, fece breccia nell'arte (dagli impressionisti sino a Van Gogh), nel costume e nella moda occidentale di fine Ottocento, soprattutto in Francia. Così invece di ricorrere, come colonna sonora, alle musiche autentiche di quella cultura – che hanno il loro referente negli strumenti musicali esposti, come il koto/cetra, i diversi liuti e gli strumenti di percussione – il sottofondo della mostra è segnato discretamente dalla Madama Butterfly di Puccini, che, parafrasando gli scritti di Edward Said sull’Orientalismo, si potrebbe definire il grado zero della percezione popolare del Giappone: l'esotismo, tuttora dominante.