Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

La scommessa perduta di un irriducibile scapolo

Fonte: La Nuova Sardegna
1 luglio 2013

“L’Amico Fritz” a cagliari 
 

 
 
 
 
 

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di Gabriele Balloi wCAGLIARI «L’amico Fritz» di Pietro Mascagni fu rappresentato per la prima volta nel 1891 – lo stesso anno, guarda caso, in cui altri due Pietro, Satta-Branca e Moro, assieme a Enrico Berlinguer (nonno dell’omonimo segretario del Pci) fondarono a Sassari “La Nuova Sardegna”. E il Teatro Lirico di Cagliari, a ben 22 anni dall’ultimo allestimento nel capoluogo sardo, ripropone la commedia lirica in tre atti, effettivamente meno frequentata rispetto alla più celebre, inossidabile «Cavalleria rusticana». La “prima” (con repliche fino al 6 luglio) si è tenuta sabato. Un’inedita produzione che, all’interno della Stagione operistica e di balletto, omaggia il compositore livornese nei 150 anni della nascita. «Vorrei un libretto semplice, dove l’azione fosse tenue, inconsistente. Vorrei essere giudicato per la musica, nient’altro che per la musica». Fu Edoardo Sonzogno che rispose a tale esigenza, proponendo a Mascagni il romanzo degli scrittori alsaziani Émile Erckmann e Alexandre Chatrian, ridotto poi dal solo Chatrian in una fortunata pièce teatrale. Mascagni, dal canto suo, affidò invece il libretto a Suardon (pseudonimo del giornalista-letterato Nicola Daspuro). E la vicenda, difatti, risulta abbastanza semplice, lineare, nulla di astruso. Vi è l’eroe- protagonista, un ricco proprietario terriero, Fritz Kobus: stimato, benvoluto da tutti, interpretato dal tenore Enea Scala, che perfettamente incarna prima l’irriducibile e aitante scapolo, restio a vincoli amorosi o matrimoniali, e più tardi l’innamorato geloso che si strugge di sentimento. Vocalità incisiva quella di Scala, rotonda, piena, luminosa, che regala acuti piuttosto sicuri e vigorosi. A lui s’affianca la voce ben tornita e robusta del basso-baritono Mark Steven Doss, espressivo anche attorialmente nel rendere il personaggio del rabbino David, col quale Fritz scommette di non sposarsi mai. Scommessa subito persa, innamorandosi quest’ultimo della giovane Suzel, nei cui panni il soprano Maria Alejandres sfodera una timbrica palpitante e scura nel primo atto, via via più limpida e solare negli altri due, quasi ad assecondare l’evoluzione di Suzel che, da candida e timida fanciulla, arriva a “scoprire” (in ogni senso) la sua femminilità. Al terzetto di protagonisti fan da cornice i buoni ruoli secondari: lo zingaro Beppe (ruolo “en travesti”) di Silvia Beltrami; i due amici di Fritz, Stefano Consolini (Federico), Ziyan Atfeh (Hanezò), e Barbara Crisponi (la governante Caterina). Buoni poi gli inserti corali preparati da Marco Faelli. A dirigere l’Orchestra è Fabrizio Maria Carminati, che dà alla partitura un tocco adeguato, leggero, suadente, sempre al servizio del canto. Una lettura fresca, che si coniuga alla delicata e preziosa regia di Primo Antonio Petris, alle scene essenziali e nitide di Greta Podestà, alle luci sofisticate del lighting designer Gianni Pollini.

LA REGIA 
 
Quel mondo lontano diviso tra città e campagna 
 
 
 

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di Enrico Pau

CAGLIARI “L’amico Fritz” nella messinscena di Primo Antonio Petris esplora uno dei temi che caratterizzano quest’opera, l’interesse del musicista e del librettista per quel confine invisibile fra la città e la campagna. Qui il tema è affrontato di peso dal regista, dalla scenografa Greta Podestà e per i costumi da Marco Nateri. I due elementi a cui da Verga in poi si guardò con un occhio certamente più rivolto al mondo dei campi, si inglobano fra di loro, si ibridano. La campagna si insinua nella potente visione iniziale della casa bianca con pratoni infiorati, alla maniera di certe scenografie degli spettacoli di Pina Baush e con linee architettoniche essenziali, i colori tenui dei costumi che contrastano con questo bagliore naturale. Sullo sfondo si accendono potenti le luci di Gianni Pollini con una funzione quasi psicologica ma anche, come piacerebbe a Robert Wilson, a svolgere una funzione estetica, contrastando con la loro natura mutevole, gli accesi cromatismi, con il quadro naturalistico dell’ambiente borghese e contadino le cui distanze sono annullate dall’efficace meccanismo scenografico. La casa si apre e diventa interno eppure è sempre minacciata dalla natura, dentro cui si muovono con estrema cura le figure ben isolate dalle luci e dai costumi dell’ottimo cast, su tutti Enea Scala, Mark Doss e Marja Alejandres perfettamente aderenti alla visione astratta del loro regista che riesce a fare avvicinare gli spettatori a una materia che la musica rende vibrante, inquieta e insieme lucida e abbacinante.