Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

L'amore è zingaro

Fonte: L'Unione Sarda
1 luglio 2013

 


P er Pietro Mascagni doveva essere un idillio, in aperto contrasto con la violenza di “Cavalleria” (ma anche con l'invasiva popolarità di Verga). Per Primo Antonio Petris è un dramma interiore, che dietro la disarmante semplicità nasconde più complicazioni di quanto immaginiamo. E allora ecco una messa in scena piena di luce che li accontenta entrambi, compositore e regista di questo “Amico Fritz”, che ieri sera ha debuttato al Lirico, in una nuova produzione del teatro cagliaritano. Disegna un mondo nitido, grafico, leggero, e poi lo mette sottosopra. Prendiamo la casa della campagna alsaziana del nostro Fritz: somiglia in modo sorprendente a quella che tutti abbiamo disegnato, da bambini. Ma perché mai ha il prato sul tetto? C'è qualcosa che non quadra. E quel qualcosa - ci dice Petris 122 anni dopo Mascagni, dando del libretto e della storia che lo ispira una lettura certamente più complessa - è il rapporto con l'affettività. Per niente risolto nel nostro scapolo impenitente, che cerca l'amore nei rapporti occasionali, cogliendo di fiore in fiore, o lo sublima nelle opere di bene, solo perché ha paura di un'altra persona con cui dar vita a un progetto concreto. Non ce la conta giusta, per la verità, neppure il rabbino David, che appellandosi ai precetti della Bibbia (“al solitario, guai!”) si dà da fare per maritare gli altri soltanto perché ha paura di guardare dentro se stesso. Suzel, la bambina che diventa donna, lei sì, è finalmente pronta a scoprire le dolcezze dell'amore, ma è ancora vittima delle convenzioni, troppo povera per aspirare a Fritz.
Li salverà tutti l'unico essere davvero libero di questa piccola storia: lo zingaro. Un personaggio ai margini, fuori dagli schemi (a dargli anima è una donna, un mezzosoprano che canta en travesti). Una sorta di Cherubino, e di diavoletto, il cui compito è suscitare consapevolezza. Beppe (curioso nome per uno zingaro) entra nella casa di Fritz non dalla porta, ma dal tetto, e usa il suono del suo violino per comunicare. È lui il deus ex machina di questa storia, più tormentata di quanto il libretto e la volontà del compositore non dicano. Del resto, a tradire Mascagni, con la lettura che ne dà il regista friulano, è proprio la sua musica: l'assolo di violino di Beppe, che annuncia il cambiamento, quello dell'oboe che asseconda le pene d'amore, e quell'Intermezzo così struggente e zingaresco, non inferiore nella sua bellezza a quello di “Cavalleria”, dopo il quale tutto cambierà. E tutto, nella musica come nei sentimenti, sarà in crescendo. Nessun nemico turba l'amore dei protagonisti, in questa seconda opera di un Mascagni ventottenne deciso a evitare il cliché rusticano. Nessun baritono attenta alle virtù del soprano, ma le inquietudini non mancano, almeno nell'allestimento cagliaritano. Gli scatenamenti degli ormoni anche: che dire di Suzel-Lolita, bolerino rosso a evidenziarle il petto? Si trastulla su un prato che evoca nella sua bellezza la ramadura della Sagra di Sant'Efisio, con un bambolotto vestito proprio come Fritz, e arriva a spogliarlo in un gioco mimetico neppure troppo nascosto. Davanti a lei, un grande, meraviglioso ciliegio in fiore, prezioso lavoro artigianale nato, come tutto il resto, nei laboratori di via Santa Alenixedda. Non ci sono i frutti: la ciliegia (ormai matura) è lei. Il prato, dal tetto, è approdato in giardino, la natura ha avuto il sopravvento sulle paure, rimettendo tutto a posto. E mentre i due ragazzi si abbracciano sul lettone bianco di Fritz, e la casetta si chiude su di loro, agli amici non resta che far festa. E con loro al pubblico. Davvero un amico, Fritz il benefattore, se riesce a regalarci due ore e dieci di serenità, grazie alla musica di Mascagni, che piaceva molto a Gustav Mahler, e a questa compagnia di canto così giovane e fresca. Dove Enea Sala è Fritz, Maria Alejandres Suzel, Silvia Beltrami Beppe, Mark Steven Doss David, Zivan Atfeh è Hanezè, Stefano Consolini (gradito ritorno al Lirico) è Federico e la sarda Barbara Crisponi, all'esordio, è Caterina. Alla guida dell'orchestra e del coro (nascosto) del teatro, Fabrizio Maria Carminati, maestro del coro Marco Faelli. Tutti applauditissimi. Molti, nonostante le tante poltrone desolatamente vuote, gli applausi a scena aperta dopo le arie più note di quest'opera così popolare e amata. Con la compagnia di canto, l'orchestra e gli artisti del coro, molto apprezzati anche il regista, il costumista Marco Nateri, (che torna nella sua città), il designer delle luci Gianni Pollini e la scenografa Greta Podestà, a cui si deve l'incanto di questo mondo disegnato su misura di un sogno. Insieme hanno dato vita a uno spettacolo pieno di luce e di gioia.
Maria Paola Masala