Il racconto del padre di un malato psichico che molto spesso aggredisce i genitori
«Lo ricoverano solo in fase acuta, poi tutto ricomincia»
Lo scatto di violenza incontrollabile. Pochi secondi, a volte un minuto o poco più. Istanti sufficienti per arrivare a conseguenze tragiche. Poi la nebbia avvolge la mente. Davanti agli occhi la terribile consapevolezza di aver fatto del male a un familiare o a un amico. «Conosciamo bene questi momenti. Nostro figlio ha una sofferenza mentale. Spesso le sue reazioni diventano violente e si scaglia sulla madre o su di me. Purtroppo le famiglie sono abbandonate dalle istituzioni. E la legge non ci aiuta».
LA STORIA Le parole escono dalla bocca di un padre disperato e stanco. Il figlio ha più di 35 anni. Da venti soffre di un problema mentale. «Inutile dare una definizione alla patologia. Uno psichiatra dice una cosa. Un altro ti racconta esattamente il contrario». Perché con la psiche le certezze sono poche. Il papà, un cagliaritano di oltre 60 anni, ricorda le peripezie da affrontare. «In caso di episodi eccessivi, nostro figlio viene portato in Psichiatria. Quando la fase acuta è passata non può essere trattenuto contro la sua volontà. Se il paziente non vuole essere curato viene lasciato andare: così recita la legge. Una volta fuori le strutture a disposizione sono poche e non sempre rispondono alle necessità delle famiglie. Succede a noi. Succede a centinaia di famiglie cagliaritane».
RICHIESTA D'AIUTO Non vuole - o meglio non può - parlare del suo caso specifico. Soprattutto a tutela del figlio. «Se raccontiamo troppi particolari temo qualche “dispetto”. Meglio restare sul generico». Anche perché il pensionato non vuole ricordare patologie, medicine, trattamenti sanitari obbligatori. «La mia è una richiesta d'aiuto. Penso di farla a nome di tantissime altre famiglie nella nostra situazione. Dopo la chiusura dei manicomi sono state create delle strutture alternative. Ma non sono sufficienti. E soprattutto non è possibile trattenere contro la sua volontà un paziente». I progetti esistono. «Abitare assistito, il programma del Comune di Cagliari, potrebbe essere una soluzione. Ma anche in questo caso serve il sì del paziente». I reparti ospedalieri di Psichiatria intervengono nell'immediato: «Dopo la fase acuta della crisi, dimettono la persona». I centri di salute mentale? «Le strutture non sono sufficienti e non danno risposte complete alle famiglie. E anche in questo caso la legge è chiara: se il paziente non vuole restare nel centro non lo si può obbligare». Subito dopo l'atto violento intervengono le forze dell'ordine: «Fanno il possibile, ma non sono ovviamente competenti in materia. Lo dicono in modo chiaro: si è davanti a un problema psichico, non possiamo fare di più».
TANTI EPISODI Lo sfogo è dettato dai tanti episodi che si leggono ogni giorno sui giornali. «Il caso di Bergamo, con la mamma che uccide la figlia e poi si ammazza, è emblematico». È stato lo stesso marito-papà, investito da una tragedia immensa, a scrivere su Facebook: «Da un anno e più ho fatto quanto umanamente possibile per aiutare mia moglie e mi sono trovato davanti ad un sistema che non può intervenire in aiuto perché la persona che sta male, per una disfunzione chimica, quindi non in grado di capire che sta male, non può essere obbligata a curarsi, se non vuole lei. Peccato solo che non possa volerlo». «Speriamo», conclude il papà cagliaritano, «che qualcuno si prenda davvero a cuore la situazione del malato e della sua famiglia. Ci sentiamo abbandonati».
Matteo Vercelli
L'esperta
Gisella Trincas:
«In città servizi
inadeguati»
«Ogni caso fa storia a sè, ma è evidente che tutto dipende dai servizi che la città riesce a offrire alle persone affette da problemi di questo tipo e alle loro famiglie. E Cagliari, da questo punto di vista, non è ancora all'altezza». Gisella Trincas, rappresentante dell'Asarp (associazione sarda per l'attuazione della riforma psichiatrica), da sempre in lotta per tutelare i diritti di chi soffre ogni giorno questi problemi, non vuole parlare del singolo caso. Ma l'argomento lo conosce bene: «In città ci sono i centri di salute mentale, ma non sempre i trattamenti sanitari sono lo strumento risolvere certe situazioni». Le persone affette da disturbi psichici in alcuni casi hanno bisogno di altro: «Per esempio uscire dal contesto in cui vivono, e che magari può causare determinate reazioni contro i familiari. Bisognerebbe fare in modo che queste persone vivano in ambienti diversi, o che passino parte della giornata con altre persone. Ma per rendere attuabile questo occorrono risorse professionali ed economiche che mancano».