MARTEDÌ, 18 NOVEMBRE 2008
Pagina 43 - Cultura e Spettacoli
Nell’ultima giornata grande prova del sassofonista americano con Marco Zurzolo e Don Moye
Il travolgente set dello straordinario pianista cubano
Le tradizioni partenopee si intrecciano con quelle del più blasonato free. Emozioni e grande classe in un live indimenticabile
WALTER PORCEDDA
CAGLIARI. Siamo tutti meridionali. Il jazz parla i linguaggi del Sud del mondo nell’ultima giornata dell’European Expò che si è chiuso domenica a tarda notte in un clima festoso salutato anche stavolta da un ottimo successo di pubblico sempre più attento e partecipe - oltre quindicimila persone -, una crescente attenzione di media e operatori internazionali e una buona qualità delle proposte. Il primo Sud è quello del Vesuvio dove nasce la musica napoletana, da sempre punto di incontro di ritmi e suoni mediterranei, tradizionalmente aperta al confronto che ha contribuito a siglare l’apertura dell’ultima sera dell’Eje con un concerto sontuoso, coinvolgente e toccante come pochi. Cerimoniere l’alto sassofonista Marco Zurzolo, una delle migliori risorse della musica partenopea, che ha imbastito con pazienza la tela di una collaborazione con Archie Shepp, uno degli ultimi giganti dell’età d’oro del jazz, alfiere del free, collaboratore negli anni cinquanta e sessanta di Coltrane e Cecil Taylor, sempre in prima fila per il riscatto dei popoli africani, che si è messo con curiosità a disposizione di un progetto musicale di alto profilo come quello di Zurzolo. Da una parte le melodie profumate d’Arabia delle canzoni napoletane, i ritmi piccanti e trascinanti di tarante, dall’altra il suono leggendario di un sax che ha attraversato in modo creativo il linguaggio dell’improvvisazione. Shepp, con la sua voce unica, porta così all’interno di brani popolari e conosciuti - come «Munastero e Santa Chiara» - e in quelli di Zurzolo quell’energia liberatoria necessaria per trasformare materiale musicale in partitura free. Zurzolo, dal canto suo intreccia dal vivo con Shepp e sottolinea, spesso a lato, marcando i segni di un’appartenenza orgogliosa e forte di una tradizione che può parlare il linguaggio del jazz senza complessi d’inferiorità. Anzi. In questo percorso, è stato fondamentale l’apporto del batterista Don Moye, raffinato inventore di trame ritmiche assieme al solido Aldo Vigorito, al contrabbasso, Alessandro Tedesco, trombone, Alain Jean Marie, piano.
Andando sempre più a Sud, ecco la Cuba del latin jazz, quella che partendo dal son e dalle charanga ha sempre regalato musicisti straordinari. L’ultimo è il pianista Hilario Duran, protagonista domenica di un set indimenticabile, denso di un sound solare e straordinario impatto emotivo. Duran unisce tecnica strepitosa, confinante quasi con il virtuosisimo, a un senso stupefacente dello swing e del ritmo. Sostenuto metronicamente da un impeccabile contrabbassista, il siculo canadese Roberto Occhipinti e il batterista Mark Kelso, forse un po’ “pestone” e irruento ma di assoluta precisione nel drumming, Hilario Duran ha fatto volare via l’ora del suo set con una velocità uguale a quella delle sue lunghe dita che scorrono sulla tastiera, inanellando grappoli di note a cascata in una musica che ricorda molto quella del grande Sandoval con il quale peraltro Duran ha suonato per lungo tempo.
Così il set si trasforma in una cavalcata senza stop, una vorticosa vuelta in temi cari alla tradizione latin, innestata dal jazz più raffinato. Così da «Tema nuevo», a «Conversation with a lunatic», «Havana city» e «Tango moruno» un concerto di grande livello, probabilmente uno degli episodi più belli di questa edizione che potrebbe far ben sperare in un ritorno del cubano da queste parti (magari con l’orchestra).
Ritmi sudamericani, tango e latin jazz anche nel set di «Alta Madeira» curato dall’ottimo violinista cubano Ruben Chaviano che, accompagnato dal chitarrista Mino Cavallo, il contrabbassista Mino Cavallo e il clarinettista Gabroele Mirabassi, ha incuriosito con la sua musica a cavallo tra due mondi.
Ad incrociare suoni mediterranei, jazz e roots celtiche è stato il cantante galiziano Antonio Placer in «Atlantiterraneo», la nuova produzione (è già anche un disco per l’etichetta S’Ard) presentata in quintetto assieme a straordinari musicisti. Placer, come sempre, canta con voce teatrale, dando corpo con una presenza forte e ispirata sulla scena, ad un set ricco di diversi profumi come il paesaggio della sua splendida terra, luogo di incontro da tempi remoti di culture e di musiche.
Restando ancora a Sud, nel centro del Mediterraneo, in Sardegna, ha colpito per ricchezza di inventiva, fantasia e, naturalmente bella esecuzione, il progetto mostrato dal vivo «Ferra vs Ferra», l’incontro/scontro tra due chitarristi di classe elevata come i fratelli Massimo e Bebo Ferra. Una replica di quel concerto evento nato due anni fa a Time in jazz di Berchidda che all’Eje ha ritrovato un pubblico complice.
Così da «Turriga» a «Luna di mezzogiorno», da «Toral» a «Green» e «Ehia», non hanno avuto alcuna difficoltà, grazie alla loro tecnica perfetta, una splendida intesa a conquistare nuovi fans e applausi.
Tra tanto Sud, una parentesi nordica da ricordare, è stata quella presentata dal trombettista norvegese Harve Henriksen in duo con il formidabile tastierista e manipolatore di live elettronics Jan Bang. Quanto nei set precedenti era ritmo e calore qui diventa musica per sognare, suoni dilatati, atmosfere rarefatte dove si staglia come un gioiello prezioso la tromba di Henrikesn ricca di accenti postdavisiani e la sua voce pulita e immacolata mentre innalza un canto che è un misto di sacro e profano.
A chiudere simbolicamente questa edizione dell’European Jazz Expò, come fosse un cerchio, è ancora una volta il vulcanico Antonello Salis, che assieme al bravissimo contrabbassista Furio De Castri (e gli impeccabili Mauro Negri, clarinetti e sax, Mauro Ottolini, tuba e Michele Rabbia percussioni) hanno letto a modo loro, sbilenco, ironico e coinvolgente, il melodramma italiano in «Vino all’opera». Un modo creativo per brindare alla prossima edizione.