Rassegna Stampa

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Quando Parodi cantava De Andrè: ridateci storia e magia dell'anfiteatro

Fonte: web Castedduonline.it
8 aprile 2013

Il monumento perduto


di  Sandro Zedda

Lunedì 08 Aprile 2013 | 03:05

Aliti di vento di una giornata delicata; il maestrale incombe severo, ma riesco a scorgere anche l’ultima linea che sfiora il mare. La bussola dei naviganti, come tanti secoli prima, è orientata verso la città che, nel tempo, ha saputo conservare, dentro di sé, vite essenziali di romanità. Ai piedi di quel viale, che ha nel nome un percorso felice, prende corpo uno dei tanti incontri con la Roma antica. Ogni angolo di luce ospita un dipinto su cavalletto, come ideale rappresentazione di un Olimpo che disegnò Karales irresistibilmente dormiente sull’acqua, come nelle migliori opere del più moderno Paladino. Quel cammino così bello e suggestivo vive il suo quotidiano contrasto, aperto e puro, con la storica casa circondariale, che pare come arroccata in cima al mondo. Protesa al di sopra di tutto e tutti, in un’espiazione continua delle pene terrene. Ho scoperto, sin da ragazzo, come la libertà possa incrociare, lì, i tormenti e i peccati dell’uomo e lo possa fare in una cornice di straordinario splendore. Così i fasti dell’Anfiteatro Romano, segni di una Roma imperiale che, seppur lontana, non risparmiò alla sua potenza dominatrice neppure la pacifica città di origine fenicia.
Adibito alle lotte tra i gladiatori, ma anche luogo pubblico destinato alle esecuzioni capitali, l’Anfiteatro Romano ha caratterizzato la storia di una città e di un popolo e ha contrassegnato un modo di vivere e respirare. Usi e costumi tramandatici dalle fonti, ma anche testimonianze granitiche, per colui che sa avvicinarsi, con la curiosità di domandarsi chi siamo stati e come eravamo.
Questo il vero patrimonio umano e culturale che dovrebbe essere custodito e divulgato; esportato, ma anche protetto contro l’incuria del tempo e l’indifferenza di coloro che si ostinano a considerarlo, ancora, una semplice rovina. Nelle Centu Scalas si snoda la vita di coloro che le calpestarono, di quelle genti che, assiepate a migliaia, vissero l’Anfiteatro, durante gli intervalli di un’esistenza, che si muoveva, sotto la guida sicura e ferma, della Città Eterna.
Un cartello, oggi, freddo e duro, come la gelida e nuda roccia che sembra cadere nel vuoto, richiama l’attenzione dei curiosi e avvisa gli avventori di turno sul particolare che si tratta di un monumento “visibile ma non visitabile”.
Reminiscenze classiche rompono il timpano del mio cervello per avvisarmi che “La cultura, l’arte, la creatività pretendono passione prima di svelarsi, di concedersi a qualcuno”. Solo questo mi ha accompagnato giù da Buoncammino e … Hotel Supramonte!
E’ spontaneo, infatti, chiedersi quanto siano lontani i tempi in cui, in una notte estiva di appena otto anni fa, Andrea Parodi & Co., nel loro tributo a Fabrizio De Andrè, fecero dialogare quegli spalti tra loro, regalando loro un’anima da protagonista. La voce di Andrea, unica e speciale, emozionò e fu l’anello di congiunzione tra varie epoche. Lì, in uno dei monumenti più vetusti della città, II secolo d.C., l’artista sardo trovò il modo di ricordare un poeta moderno, che seppe amare e celebrare la Sardegna in versi di straordinaria bellezza. Fu quello un modo per ridare spirito e vigore a un dna dimenticato, nascosto in soffitta e finalmente rispolverato e riportato alla luce. Il significato di tutto fu racchiuso in una moderna canzone, ma l’atmosfera che avvolse l’Anfiteatro, quella notte, fu quella di duemila anni prima, riprese a vivere, fece un lungo respiro per non andare più via! Solo Hesse e la sua passione possono aiutarci a ritrovare la strada per l’Anfiteatro Romano.
“L’Anfiteatro Romano è chiuso, momentaneamente, per inagibilità del posto”.