Si chiude il lavoro condotto nel mese di marzo al Lazzaretto di Sant’Elia dalla regista Marinella Senatore: un’operazione di arte partecipata, pubblica e sociale, la cui finalità è quella di insegnare a guardare ciò che si può realizzare uniti
Ivana Salis
Sul palco del Teatro Massimo, le ultime scene del melodramma “Piccolo Caos – Sant’Elia Viva!”, danno il senso del lavoro condotto a marzo nel Lazzaretto di Sant’Elia dalla regista Marinella Senatore. Gli alunni della scuola Randaccio di via Veneto e della Don Milani di Sant’Elia hanno danzato e recitato con gesti di impatto scenico diretti dalla Senatore, e dalle due coreografe che hanno lavorato con loro in queste settimane, Elisa Zucchetti e Nandhan Molinaro.
Hanno dato spettacolo, piccoli e grandissimi nella spontaneità di movimenti che prendevano vita e si dilatavano a creare immagini in movimento di intensità e “maestosità”, come il bocciolo di un fiore che si compone dall’abbraccio collettivo, oppure la libertà di corse e giochi tra le acque e nel vento, mimato da lunghi teli tra i quali si muovono i piccoli attori.
Tutto il lavoro della troupe, che ha realizzato le riprese e la sceneggiatura del filmato, la cui presentazione avverrà a maggio, dopo il lavoro conclusivo di montaggio, è stato fatto dai cittadini del quartiere di Sant’Elia e da tutti quelli che hanno voluto prender parte ad un’operazione di arte partecipata, pubblica e sociale, la cui finalità è quella di insegnare a guardare ciò che si può realizzare con la forza dell’unione. Unione di competenze, quelle della Senatore, artista e regista, degli operatori e insegnanti che hanno realizzato i corsi gratuiti propedeutici alla realizzazione del progetto, quelle dei cittadini, che hanno messo in campo la loro voglia di fare, di curiosare, di capire cosa sta dentro di loro e renderlo alla collettività.
Le scene che andranno a comporre la storia sono l’esito di questa collaborazione, con il racconto di alcune storie personali dalle quali si è tratto del materiale intersecato a scene di danza, dei bambini e degli adulti, di ogni età e derivazione, ispirandosi a quel teatro-danza nato negli anni Settanta con Pina Bausch.
La Senatore dice che “una gran parte del lavoro è stato svolto con il teatro danza, si è lavorato con persone di tutte le età: pensionati, casalinghe, studenti non professionisti, l’uso del corpo si è intrecciato con la recitazione. I movimenti nascono da lezioni intense, hanno lavorato e sviscerato i loro movimenti del quotidiano, perché la danza è un mezzo di comunicazione”.
Alla mia domanda: “Le due caratteristiche del tuo lavoro sono l’immagine in movimento e la partecipazione. Tu hai detto ai bambini che sapevi già da piccola di voler fare questo mestiere. Cosa ti muove in realtà nel creare queste immagini corali in movimento?” la Senatore risponde: “Io da piccola ho fatto questo tipo di esperienza, e così ho scoperto che esisteva questo tipo di lavoro e di approccio. Poi nella mia crescita personale e professionale, alla scuola nazionale di cinema, e specializzandomi all’estero, ho sentito che mettere a disposizione le mie competenze aveva molto più senso piuttosto che lavorare solo con i professionisti, dato che sono anche insegnante.
Ho lavorato con grandi collettivi, minatori, operai, quindi diciamo, anche tematiche molto contemporanee e sociali fanno parte del mio lavoro. Cerco di fare sempre questo tipo di proposte dove credo ce ne sia bisogno, e poi di mettere a disposizione dei cittadini questa piattaforma.
Credo che la fase didattica sia proprio imprescindibile come forma mentis e da qui si arriva a creare un senso di memoria collettiva. So che in tanti, dopo il lavoro fatto insieme, per esempio dopo le riprese fatte al Teatro Lirico, sono andati via contenti, perché loro stessi mi hanno contattato per dirmelo. Per me questo significa molto di più di un semplice intrattenimento. Il mio intento è lasciare qualcosa nel territorio di vero, di reale”.
La Senatore ha definito le persone che hanno partecipato al suo cortometraggio “accoglienti, vere, concrete e con tanta voglia di fare e realizzare”.
Così si chiude “Piccolo Caos” con il sapere appreso e la memoria della forza di una collettività che si è riscoperta.