Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Hargrove, cuore e orgoglio

Fonte: La Nuova Sardegna
17 novembre 2008

LUNEDÌ, 17 NOVEMBRE 2008

Pagina 22 - Cultura e Spettacoli

Il trombettista protagonista di un set stellare; grande classe anche nel live di Roberta Gambarini



Emoziona e commuove la prova dei Fortun de Sarau



Grande classe e radici nella musica dell’ex giovane leone americano

WALTER PORCEDDA

CAGLIARI. Brilla alta la stella di Roy Hargrove nel cielo dell’European Jazz Expò che alla sua quinta edizione, nella serata di sabato ritrova a distanza di oltre dieci anni il profeta del neo bop. E’ proprio da queste parti della Fiera che il trombettista, allora alle prime uscite fuori dagli States, conquistò per la sua freschezza, l’eccezionale padronanza del suo strumento, la voglia fortissima di tornare alle radici. Back to the roots, era il motto che in quell’epoca sembrava segnare l’urgenza di quelli che con Roy Hargrove (Cristian Mc Bride, Terence Blanchard e altri ancora) venivano chiamati i giovani leoni del jazz stelle e strisce, protagonisti di una rinascita del mainstream. Molta tecnica, come ha dimostrato il quintetto che ha aperto la seconda giornata dell’Expò con un acclamatissimo set, e altrettanto cuore. Soprattutto tanta coscienza della propria storia. Quella spiattellata dal gruppo del trentottenne trombettista scoperto da Winston Marsalis che di quel jazz è ormai l’Orgoglio. Le citazioni e la memoria fanno ormai parte integrante del bagaglio musicale, e i ricordi di un Clifford Brown o soprattutto di Lee Morgan si sono stemperati in una musica che ha trovato altri echi e rimandi (Gillespie, ad esempio). E’ un jazz di bella presa, dove swing e melodia si alternano gradevolmente nel set fatto di ballads e frizzanti incursioni latin. Strepitosa formazione, a cominciare dall’alto sax Justin Robinson che con Hargrove ha un’intesa superba.
Sulla stessa linea dell’eterno ritorno va messa anche la performance seguita senza sentire una mosca volare, della vocalist Roberta Gambarini, torinese di nascita ma ormai americana fino al midollo. Grande scattista, con un formidabile senso del ritmo, un soprano dalla voce calda e confidenziale, capace di scarti improvvisi e di swingare come consumata black lady (ed è comparso a sorpresa Hargrove a duettare con lei). Da ricordare la versione di uno standard come «Estate» di Bruno Martino.
Nel versante italiano, la serata di sabato - presa d’assalto pacificamente da una folla enorme di oltre sette-ottomila persone sino a tarda ora, vagante nelle sei sale, dove i live si susseguivano in contemporanea - ha regalato la riconferma di musicisti ormai di grande pregio come il pianista Antonio Faraò, uno de migliori in Italia, ancora il premiato Antonello Salis alla guida di un sempre imprevedibile e accalamatissimo Meta quartet, formazione con la quale il musicista sardo veleggia da tanti anni. Sulla stessa linea va indicata la prestazione dell’inedito quartetto guidato da un altro sardo di valore come il sassofonista Gavino Murgia che ha proposto una intrigante e varia scaletta dove tra original di buona fattura melodica trovavano posto persino, nelle atmosfere e a tratti anche nei suoni, citazioni del sempre amato e mai dimenticato Art Ensemble of Chicago. Probabilmente anche a causa della presenza dell’ottimo drummer e percussionista Don Moye che al set ha portato memoria e ineccepibile classe. Come quella del trombettista Roswell Rudd che con Michel Godard alla tuba (ormai inseparabile sodale di Murgia) completavano la formazione. Tra le stelle future va annoverato sicuramente il giovane flicornista Luca Aquino che con una formazione davvero di affiatata intesa (in cui spiccava un ruvido ed efficace chitarrista, Giovanni Francesca) ha regalato un jazz di marca europea di bella presenza. Melodico con grandi debiti a Fresu sicuramente, ma già originale e in grado di “sporcare” quanto basta per offrire spunti eccitanti per nervose jam. Da seguire con attenzione. Come, cambiando genere, è senz’altro l’ottimo Remo Anzovino che dal vivo mantiene le promesse del suo seducente album. Il suo trio è compatto, suona con dedizione e gli spezzoni proiettati alle spalle con immagini di film anni Trenta e Quaranta, con voyeristico indugiare sui volti di Louise Brooks o Buster Keaton, regalano brividi e tensioni da fine millennio. La musica asseconda e sale di intensità in un caleidoscopico gioco di incastri che a tratti sembra ricordare quella del fiammingo Wim Mertens.
Sulle ali della nostalgia la musica, tra tango e jazz, del trio di Gustavo Beytelman che porta di peso il cuore dentro una corte poco illuminata, dove la passione fa rima con saudade. Sul fronte dei suoni world le riconferme giungono da S’Ard di Mauro Palmas, che non è esattamente come Sonos de memoria (come erroneamente fu indicato in sede di presentazione) ma è la replica invece del format di Stazioni Lunari di Magnelli, ex Csi, dove l’ottimo gruppo del mandolista ospita stelle affermate come Elena Ledda e Francesco Pilu e ne rivela di future come Patrizia Laquidara. Conferme anche per la bella italo etiope Saba protagonista di un applauditisimo set. Ma in questo ambito, a onor del vero, chi prende il cuore è la musica dei Fortun de Sarau, diretti dal percussionista Alberto Cabiddu. Musica corsara di intense emozioni, intima e profonda, ricca di accenti mediterranei, tocca le corde dell’anima in modo profondo, in tutti i suoi brani: da «Santa Maria» a «In Bonora» sino all’omaggio finale nel «Cantico» alla musica del genovese Fabrizio De Andrè, da lasciare chi ascolta, stupito e senza parole.