L'ACCUSA. Il portavoce della comunità musulmana getta la spugna
Hijazi: «Costretti a pregare tra il degrado»
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È stato protagonista di tante battaglie per l'integrazione e il multiculturalismo ma ora Sulaiman Hijazi getta la spugna. Il trentenne palestinese da anni residente in città lascia il suo ruolo di portavoce della comunità musulmana per protesta nei confronti delle istituzioni locali, «solidali sì ma solo a parole».
I PROBLEMI Il pomo della discordia sono le condizioni in cui pregano i fedeli di Allah il venerdì: in strada, tra lamiere e copertoni d'auto, occupando quasi tutta via del Collegio dove c'è la piccola moschea, che non può contiene i numerosi fedeli, costretti a inginocchiarsi nei loro tappeti sotto il sole cocente d'estate e sotto la pioggia d'inverno. Esattamente com'è capitato in queste ultime settimane. «Comune, Provincia, Regione e anche l'arcivescovado hanno sempre promesso di fare qualcosa ma noi continuiamo a stare sotto l'acqua. Non credo che non riescano a trovare un posto da darci in affitto per due ore il venerdì. Paghiamo noi, sia chiaro», sottolinea l'ex portavoce dei musulmani.
LA MOSCHEA Hijazi ci tiene a precisare che questo problema va tenuto distinto da quello della costruzione della moschea. «Quella è un'altra questione. Ora c'è da risolvere questa urgenza». Perché come tale è avvertita dalla comunità musulmana. Non a caso gran parte dei fedeli, circa quattrocento, non frequenta più via del Collegio, dove manca anche una zona adeguata dedicata alle donne. I più tenaci, quando lo spazio finisce, si dispongono in strada, anche sotto le intemperie. Gli altri preferiscono rimanere a casa. «Sfido chiunque a dire che in Siria, Palestina, Egitto o in altri paesi arabi i cristiani sono costretti a pregare in queste condizioni», afferma il palestinese.
I RAPPORTI COL COMUNE Hijazi è tenace. In passato con l'amministrazione di centrodestra, oggi con quella di centrosinistra, che quando era all'opposizione ha sempre denunciato le condizioni di preghiera a cui erano costretti i musulmani. «Il sindaco Zedda è più aperto rispetto a Floris. Parla di città europee, dove ci sono più di una moschea, di questi modelli da imitare ma poi qui non fa nulla, esattamente come gli altri». Agli amministratori locali ha chiesto innumerevoli volte un posto da poter prendere in affitto ma la risposta, per la delusione dell'intera comunità cittadina, è sempre stata negativa. «Mi dicevano che d'informarmi io se il Comune aveva luoghi adatti», spiega esterrefatto, «ma l'amministrazione sono loro, non io».
AGOSTO D'estate, quando con la canicola asfissiante d'agosto (la preghiera del venerdì si svolge quando il sole è allo zenit) ha chiesto per un paio d'ore di poter pregare sotto i portici del Consiglio regionale. Niente da fare, accesso negato anche da quelle parti.
Il parroco di Sant'Eulalia e direttore della Caritas, don Marco Lai, ha sempre appoggiato la battaglia dei musulmani, perché ogni settimana vede nelle condizioni poco dignitose in cui sono costretti a pregare. Ma i vertici della chiesa cittadini sono rimasti sordi, denuncia Sulaiman: «Nemmeno l'arcivescovo si sta interessando, se avevano intenzione di aiutarci potevano farlo. D'altronde preghiamo lo stesso dio».
Mario Gottardi