ZONA FRANCA, L’ISOLA NON È LA VAL D’AOSTA
di Mario Carboni
L’onorevole Caveri, già presidente della Val d’Aosta, è entrato a gamba tesa nel dibattito sulla zona franca criticando indirettamente le tesi sostenute dal presidente Cappellacci e la sua lettera inviata all’Unione Europea e si attende la pubblicazione della recente risposta del Commissario europeo per trarne delle conclusioni. L’occasione è utile per chiarire che chi chiede che la Sardegna sia zona franca come la Val d’Aosta è in errore di fatto e di strategia. L’art. 14 del loro Statuto recita: “Il territorio della Val d’Aosta è posto al di fuori della linea doganale e costituisce zona franca. Le modalità di attuazione della zona franca saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato”. La Val d’Aosta non è zona franca, come sostiene Caveri, perché non è mai stata emanata una legge d’attuazione dello Statuto concordata con la Regione mentre invece lo Stato ha unilateralmente promulgato la legge n. 623 del 1949 con la quale «in attesa che sia attuato il regime di zona franca previsto per il territorio della Val d’Aosta è consentita l’immissione in consumo in detto territorio, per il fabbisogno locale, dei sottoindicati prodotti nei limiti dei contingenti annui... in esenzione dal dazio, dalle imposte di fabbricazione ed erariali di consumo e dalle corrispondenti imposte di confine, dal diritto erariale...». L’elenco e le quantità dei prodotti, zucchero, caffè, cacao, soia, birra, alcolici, gasolio, attrezzature, si possono leggere nel sito della Regione Val d’Ao - sta. Sono defiscalizzati ma contingentati, cioè per ogni prodotto viene indicata la quantità massima annua posta al consumo ed è per questi motivi che non si tratta di una zona franca, ma si può solo parlare di un “sistema a franchigie contingentate”. Si tratta di agevolazioni al consumo, molto limitate anche se utili nel 1949 per aumentare il reddito disponibile delle famiglie appena uscite dalla guerra, ma non aiuta oggi per nulla le produzioni di ricchezza, la creazione di impresa e quindi l’occupazione cosa che invece è richiesta ad una vera zona franca. Usufruire di quantità contingentata di gasolio, sino al suo esaurimento, può essere utile per spendere di meno per il riscaldamento delle case ma nulla può per le centrali che producono energia elettrica o i grandi complessi turistici e commerciali che consumano tanto gasolio da superare la quantità contingentata. Può servire per un pieno per accompagnare i figli a scuola ma non per gli autotreni dei trasporti industriali. A nulla serve per le Pmi che producono beni e servizi. Per noi sardi un contingentamento simile solo apparentemente sembrerebbe avvantaggiarci, mentre aumenterebbe l’emor - ragia di risorse nei riguardi di prodotti provenienti dal continente esacerbando lo stato di colonia di consumo della Sardegna. Una ipotesi del genere andrebbe progettata, pensando alle famiglie, solo in subordine e in presenza di una reale zona franca che inizi nell’immediato defiscalizzando i fattori di produzione e in primis gli energetici, attirando capitali, imprese, tecnologia, per beni, servizi e agroindustria, trasporti, favorendo quindi l’aumento del Pil e l’oc - cupazione ed il conseguente maggior reddito spendibile dalle famiglie. Per chi sogna e propone la Sardegna come un paese di Bengodi, con gli specchietti fallaci e consumistici di Val d’Aosta o Livigno, è confermato che non esiste nessuna zona franca in Val d’Aosta ma esiste solo un sistema “di franchigie contingentate ” stabilito senza accordo con la Regione, “in attesa che venga attuato lo Statuto dallo Stato”. I Valdostani usano tuttavia questo sistema obtorto collo e chiedono che sia attuato lo Statuto con la zona franca dallo Stato che è ancora inadempiente. Presidente della Fondazione Sardegna Zona franca