L’intervento dell'economista Gianfranco Sabattini: «Le esenzioni doganali, un tempo fondamentali, riguardano solo una parte delle attività economiche»
zona franca
opinioni
di Gianfranco Sabattini *
Di nuovo la zona franca! E' stata rilanciata nelle ultime settimane da iniziative della Giunta Cappellacci. Il dibattito che ne è seguito è stato rapidamente banalizzato, perché sul "vecchio strumento doganale" si è detto "di tutto e di più". Vale la pena, perciò, tentare di fare chiarezza sull'oggetto del dibattito e sullo "stato dell'arte".
Storicamente, la funzione della zona franca è stata quella di favorire la distribuzione e la commercializzazione delle merci. In epoche in cui era assai limitato lo sviluppo del settore industriale e il volume dei traffici, soprattutto quello via mare, era caratterizzato da tecnologie arretrate, che rendevano lunghi e onerosi i tempi del trasporto, si avvertiva la necessità di "spezzare" le lunghe rotte commerciali; ciò al fine di consentire operazioni usuali sulle merci per il loro "confezionamento" in unità dimensionate alle condizioni di entrata nei vari mercati di collocamento. Poiché nella logica dei traffici commerciali e marittimi i prelievi doganali erano quelli più ricorrenti, non solo ai fini fiscali, ma anche ai fini protezionistici, la "franchigia doganale" era in effetti valido strumento che facilitasse le operazioni di distribuzione e commercializzazione. La franchigia forniva nel contempo ai Paesi che si trovavano al centro delle grandi rotte commerciali e che istituivano zone franche opportunità generalizzate di aumenti dell'occupazione e del reddito.
Allo stato attuale, ipotizzare di poter attivare un processo di crescita e sviluppo di un'area in ritardo sulla via della crescita e dello sviluppo attraverso l'allargamento della base produttiva mediante l'istituzione di una zona franca doganale significa utilizzare uno strumento di politica economica, se non proprio "residuo storico" e obsoleto, certamente molto depotenziato.
Allo stato attuale, per le direttive europee, le esenzioni dalle imposte dirette ed indirette sono estremamente improbabili, mentre le esenzioni dai diritti di confine possono riguardare o attività concernenti la distribuzione e la commercializzazione di merci importate in un'area interna alla comunità europea, ma destinate ad essere riesportate all'esterno dell'area comunitaria, oppure attività di trasformazione delle merci importate, nel rispetto della normativa comunitaria sul perfezionamento attivo, sulla trasformazione sotto controllo doganale e sull'importazione temporanea. Sia il perfezionamento attivo che la trasformazione sotto controllo doganale consentono, dunque, di sottoporre le merci importate a operazioni di "completamento e trasformazione"; operazioni, queste, che sono molto diverse da quelle che prevedono la sola "manipolazione" delle merci in transito.
Com'è noto, con il decreto legislativo del 10 marzo 1998, n. 75, è stata istituita la Zona franca di Cagliari. Tale decreto detta le norme di attuazione dello Statuto speciale per la parte concernente l'istituzione di zone franche. Il decreto stabilisce che, in attuazione dell'articolo 12 dello Statuto speciale per la Regione Sardegna, possono essere istituite nell'area regionale zone franche, secondo le disposizioni di cui ai regolamenti CEE n. 2.913/1992 (Consiglio) e n. 2.454/1993 (Commissione), nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax ed in altri porti ed aree industriali ad essi funzionalmente collegati o collegabili. La zona franca, perciò, allo stato attuale attende solo che si ponga un freno ai "bailamme" sul "come", "dove" e in "che modo" può essere attuata ed l'azione pubblica sia orientata perché essa diventi realmente operante e possa risultare un utile strumento per favorire l'avvio di un processo di crescita e di sviluppo che interessi l'intera area regionale. L'aspetto che più stupisce del "rilancio" della discussione sulla zona franca sono le contrapposizioni tra le parti politiche; queste, anziché decidere sulle cose che realisticamente possono essere fatte, si dilungano in contrapposizioni sterili, proponendo azioni e progetti destinati a rimanere inattuati. Se le discussioni ed i confronti non saranno opportunamente corretti e resi più responsabili e concreti, essi finiranno, come è avvenuto nel passato, col ridursi a semplici e inutili dispute elettorali.