Baretti
POETTO Non hanno più soldi e non sono sicuri che tra due mesi i chioschi potranno essere rimontati, per questo i concessionari si ribellano e sperano in un intervento risolutivo della Regione
I gestori dei chioschetti del Poetto non smontano una sola trave delle loro nuove strutture. Il Comune è stato chiaro: «I baretti sono da smontare e rimontare». Così ha detto giovedì Massimo Zedda. Dai gestori delle attività sul lungomare arriva un “No ” grande quanto i nuovi chioschi, sorti sulle macerie dei vecchi a maggio 2012 e che rispettano tutte le indicazioni di palazzo Bacaredda. Che adesso impone l’ennesima demolizione: sempre a spese dei gestori. Coltello tra i denti per la battaglia, portafoglio vuoto per i mancati incassi, accuse alla “politica” che non ha mai approvato quel sacrosanto Pul e tanta disperazione. Grazie al lavoro nei chioschi, per anni intere famiglie e centinaia di persone hanno potuto portare una pagnotta a casa. Spendere tra i 25 e i 30mila euro, senza la certezza di poterli rimontare entro due mesi, sarebbe per loro il colpo finale. «Il baretto non si tocca, non ho i soldi per rismontarlo. Da 32 anni ho sempre pagato tutte le tasse, insegnando ai miei quattro figli il valore dell’onestà. Non siamo alla fame, di più - dice Maria Cabras, 70 anni, trentadue dei quali passati dietro il bancone del Palm Beach - la politica si sta comportando in modo vergognoso». Cita anche l’aspetto legislativo e conta i danni della recente mareggiata Antonio Congera, chiosco Il Capolinea: «Il baretto resta in piedi, non ho la potenzialità economica per demolire e ricostruire.
Oltre un anno fa il Comune ci aveva promesso l’appro - vazione del Pul. Demolendo oggi, non esiste uno strumento urbanistico utile per ricostruire - spiega - l’ultima mareggiata ha fatto diecimila euro di danni al pavimento del chiosco, è folle l’idea di spostarci 20 metri più avanti, con le dune che non farebbero riversare l’acqua in strada». Quinta fermata, chiosco rosso, il Twist. «Smontare sarebbe la morte per tutti noi, già non abbiamo né guadagno né prospettiva - afferma Maurizio Marongiu - il nostro non è un muro contro muro, ma un atto dettato dalla disperazione». Alessandro Cogoni, numero uno de La sella del diavolo, è furente. «Smontare? Non scherziamo. Il Pul non è pronto, non dobbiamo pagare noi questi ritardi. Davo lavoro a dieci dipendenti, ora siamo disoccupati. Il Comune segua i consigli della Regione», puntualizza. E dalla Regione forse qualcosa potrebbe muoversi: Luigi Molinari, coordinatore sardo della Federazione balneari - costola della Confesercenti - ha suggerito una legge-ponte «per riconoscere le direttive del decreto Rassu, bocciato dal Comune. Destra e sinistra in Regione hanno mostrato interesse, sarebbe una norma transitoria per non buttare giù i baretti, in attesa dell’ok al Pul». E nelle stanze regionali è anche arrivata una richiesta di “commissaria - mento ad acta”, firmata da alcuni gestori. Invitano la Regione a commissariare il Comune in merito alle concessioni demaniali, perché palazzo Bacaredda non avrebbe seguito il decreto, contenuto nell’ultimo Milleproroghe, che porta al 2020 la scadenza delle licenze in riva al mare. P. R.