Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Storia del Sant'Efisio sbagliato

Fonte: L'Unione Sarda
11 marzo 2013


Martedì nelle edicole il terzo volume della “Città del sole”, capolavoro dello scrittore
 

Nel racconto di Alziator la rivelazione di tanti segreti
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Martedì 12 marzo sarà in tutte le edicole (a prezzo di un euro più quello del giornale) il terzo volume della “Città del sole”, pubblicato da L'Unione Sarda nella prestigiosa Biblioteca dell'identità. Giovedì 14 marzo, sarà proposto ai lettori (con le stesse condizioni di vendita) l'ultimo dei cinque volumi della “Guida di Cagliari e dintorni” del canonico Giovanni Spano. Entrambe le opere, presentate da Gianni Filippini, stanno ottenendo un grande successo.

Se non fosse per quella croce rossa dipinta sulla mano destra anziché sulla sinistra, salirebbe lui sul cocchio. Sant'Efisio sballiau, lo sbagliato, non indossa l'abito rosso di Damasco né viene ingioiellato come vuole la tradizione. Resta nella sagrestia della piccola chiesa seminascosta dai palazzotti vecchi di Stampace. Da quel tempo lontano è solo Sant'Efisio “giusto” ad attraversare la folla di fedeli che a migliaia ogni primo maggio aspettano tra le strade di Stampace. Affollano le tribune metalliche che per l'occasione vestono entrambi i lati del Largo Carlo Felice. L'iconografia non sembra aver pietà di quella statua di fine Cinquecento, eppure i tantissimi cagliaritani devoti al santo martire, che ebbe il merito di salvare la cittá dalla peste, non hanno mai dato troppa importanza al piccolo disguido artistico. Pare abbia dispensato molte grazie, e agli occhi dei più quella croce rossa nel lato sbagliato è sempre stato un dettaglio di poco conto.
Nel vecchio quartiere cagliaritano ai piedi di Castello sembra che il tempo si sia fermato. Dai balconcini di ferro battuto sventolano gli stendardi rossi. Un gruppetto di signore avanti con gli anni distribuiscono le immaginette del Santo ai fedeli. Indossano abiti scuri, austeri, raccontano aneddoti legati alla festa dell'anno prima. È una scena che si ripete identica ogni "Calendimaggio".
Le origini sono antiche, antichissime. Francesco Alziator che con sorprendente passione si dedicò allo studio delle tradizioni sarde non poteva certo dimenticarsi del Santo amatissimo dai cagliaritani. Nella terza parte della sua opera “La città del Sole” dedica un intero paragrafo a questa tradizione suggestiva e magica, imprescindibile dalla storia di Cagliari. Tutto ha inizio nel 1600. Dopo esser scampata all'invasione delle cavallette giunte dai lidi africani, la Sardegna si trovò a combattere contro la peste. Era il 1652, il morbo portato nell'Isola da una tartara spagnola approdata nei pressi di Alghero, nel giro di qualche anno decimò la popolazione. Cagliari inizialmente venne risparmiata, solo nell'ottobre del 1665 si ritrovò a fare i conti con punte anche di duecento morti al giorno. A nulla servirono gli interventi dei luminari in materia, solo l'aiuto del Cielo avrebbe potuto salvare il capoluogo sardo.
Fu così che il Magistrato civico si appellò a Sant'Efisio. Se realmente sia stato il martire guerriero a sconfiggere il morbo non ci è dato saperlo, e nemmeno lo svela Alziator. Certo è che la peste sparì del tutto. Era il 1657, nel mese di maggio il voto venne adempiuto. Da allora ogni anno la storia si ripete con immutata devozione. Il simulacro del santo sul cocchio ripercorre sempre lo stesso tragitto, dalla Chiesetta di Stampace viene scortata con una teatralità spettacolare sino alla spiaggia di Nora. Per poi far ritorno nell'antica chiesetta nel cuore pulsante dello storico rione cittadino.
È tutto identico, da oltre tre secoli. La città si tinge coi colori tipici degli abiti d'ogni angolo della Sardegna, i cavalli indossano i paramenti da festa e il tappeto di fiori copre i lastroni di via Roma e l'asfalto nero delle altre stradine che attraversano il centro. Un appuntamento imprescindibile per migliaia di sardi. Ma anche per i turisti. Una delle pagine più accattivanti della storia di Cagliari, un perfetto connubio tra tradizione, fede e storia che si ripete con l'unica eccezione del 1917, quando per ragioni di sicurezza la municipalità impose uno stop forzato.
Anche nel 1943, con le ferite dei bombardamenti ancora sanguinanti e l'odore acre di guerra e distruzione, un gruppo di fedeli volle prestar fede alla promessa. Il silenzio tombale della città semideserta fu rotto dal rumore di un vecchio camioncino. Si fece strada tra le macerie dei palazzi sbriciolati, nel cassone c'era la statua di San'Efis, col suo mantello rosso di damasco e la corona sul capo. Nemmeno la guerra riuscì a fermare la tradizione. Anche quell'anno il martire guerriero raggiunse Nora. Come stabilito dal voto. Come ogni primo maggio avviene da oltre tre secoli e mezzo.
Sara Marci