LE REAZIONI
La sentenza di ieri è l’ennesimo colpo alle attività del lungomare, sprangate e delimitate dal nastro biancorosso, in attesa di sapere se dovranno essere buttate giù e ricostruite (come chiede il Comune) o se possono essere salvate (come sostiene la Regione). Al netto di tutto, ci sono un Pul che non è mai stato approvato dalle passate amministrazioni di palazzo Bacaredda – e richiesto decine di volte negli anni passati dai gestori dei chioschetti –che è il motivo principale delle condanne di ieri. Anna Frongia, titolare da 27 anni de Il Nilo, seppur a letto con qualche linea di febbre, è arrabbiata e battagliera: «Siamo vittime di mancanze politiche, il Pul non è stato mai approvato nonostante le nostre continue richieste. Abbiamo speso 120mila euro a testa per le nuove costruzioni, ora sono a regola d’arte», dice la Frongia, «non penso neanche lontanamente a buttare di nuovo giù tutto, casomai spero di riaprire da un giorno all’altro. Nel locale lavoriamo io, mio marito e mia figlia e due dipendenti giovani fissi, ora siamo tutti a spasso. La Regione mi pare di capire sia dalla nostra parte, invito il sindaco Zedda a mettersi una mano sulla coscienza, anche lui ha frequentato i nostri baretti e sa che siamo tutti onesti lavoratori». Un filo meno battagliero ma con le idee chiare sul passato è Piero Marci, numero uno de Il Miraggio: «Questa sentenza è per il vecchio abuso ed è ingiusta, legata a una serie di circostanze. Non eravamo abusivi perché volevamo esserlo, abbiamo chiesto da decenni le concessione per regolarizzarci, ma il Pul non è mai stato fatto. Attendiamo risposte da Regione e Comune. Se alla fine dovremo nuovamente smontare», afferma Marci, «lo farò, anche se a malincuore. Sarà comunque un collasso economico». P. R.