Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Con i numeri delle Politiche la Regione andrebbe ai grillini

Fonte: La Nuova Sardegna
5 marzo 2013

 

A chi vincerà andrà la maggioranza dei seggi (36 su 60) ma alle prossime elezioni peseranno di più i candidati governatori e le preferenze degli aspiranti consiglieri

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di Filippo Peretti

CAGLIARI. Con il risultato delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio Grillo avrebbe eletto in Sardegna un governatore di M5S e conquistato la maggioranza assoluta dei seggi in Consiglio: 36 su 60. Agli altri partiti non sarebbe rimasto che spartirsi i rimanenti 24: di questi, ne avrebbe preso 11 il Pd, 9 il Pdl, 2 a testa Scelta Civica e Sel. Sarebbero rimasti all’asciutto Udc, Fli, Psd’Az, Fratelli d’Italia, Lista Ingroia e via elencando.

Questo scenario non tiene conto delle sensibili differenze fra i due sistemi elettorali, differenze in grado di modificare e non di poco il risultato finale, come è successo, sempre il 24 e 25 febbraio, nelle regionali di Lombardia, Lazio e Molise. Lo scenario ha comunque messo in allarme i partiti attualmente presenti in Consiglio regionale, i quali, prima del boom grillino, già ipotizzavano un confronto tutto riservato ai due schieramenti tradizionali del bipolarismo italiano, il centrodestra e il centrosinistra.

Partiamo dai numeri. Alle politiche M5S è stato nell’isola il primo partito e ha superato le coalizioni capeggiate da Pd e Pdl. Se anziché per la lista il voto fosse stato per il governatore, con il suo 29,68% avrebbe vinto il candidato grillino su quello del centrosinistra (29,43%) e su quello del centrodestra (23,67%). Naturalmente, questa proiezioni non è attendibile sul piano politico, in quanto, come insegna l’esperienza, gli elettori delle regionali scelgono innanzitutto il nome del candidato governatore.

Non solo: rispetto alle politiche, alle elezioni regionali hanno grande peso anche gli aspiranti consiglieri. Per dimostrare quanto vale questo peso, è sufficiente analizzare l’andamento di M5S nelle votazioni del 24 e 25 febbraio.

In Lombardia i grillini hanno avuto un milione 126.147 voti, mentre alle regionali si sono fermati a 782.007 (per il candidato presidente) e a 775.211 (per la lista). In sostanza ha perso un terzo del proprio elettorato delle politiche).

Più pesante il calo nel Lazio: del milione e 191.048 voti delle politiche, nelle elezioni regionali a M5S ne sono rimasti 661.865 (per il presidente) e 467.215 (per la lista) delle regionali. Ancora più rilevante il calo alle elezioni regionali del Molise: rispetto al 27,67% delle politiche ha avuto il 16,76 per il candidato governatore e il 12,18% per la lista degli aspiranti consiglieri.

Si prevede che il vento della protesta continuerà a soffiare ancora e che molto potrebbe dipendere dagli sviluppi della politica nazionale. E’ certo però che il boom di M5S ha modificato in profondità tutta la situazione.

E’ per questo che il risultato delle politiche condizionerà la riforma elettorale che da domani inizierà a essere votata nell’aula del Consiglio regionale. La previsione è della conferma dell’elezione diretta del presidente della Regione e il premio di maggioranza assoluta al candidato vincente. C’è la proposta, largamente condivisa, si mettere uno sbarramento del 10 per cento alle coalizioni e del 4 per cento ai partiti che si presentano da soli. Per quelli che sono dentro le coalizioni che superano i 10 punti in percentuale, lo sbarramento sarà del 2,5 per cento (28 mila voti secondo l’affluenza del 24 e 25 febbraio). E’ in base a questo riferimento che in apertura si è detto che dalla ripartizione dei seggi sarebbero stati esclusi partiti come Udc, Psd’Az e lista Ingroia che si sono fermati a 25 mila voti.

Soprattutto per i partiti minori (che sono spesso penalizzati nelle elezioni politiche) conterà molto alle regionali il ruolo dei tanti candidati nei collegi provinciali, dove vige il sistema del voto di preferenza personale. In questo senso rischierebbe di essere penalizzata, nel voto sardo, il movimento grillino: se si dovesse presentare da solo, avrebbe solo 60 candidati, mentre sarebbero molti di più quelli delle coalzioni: ad esempio, sei liste alleate avrebbero la forza d’urto di 360 nomi in gara.

Dopo che problemi di coesione politica sono stati riscontrati sia nella gestione di Renato Soru sia in quella di Ugo Cappellacci, c’è ora in alcuni partiti l’idea di eliminare per le prossime regionali il voto cosiddetto “disgiunto” (la possibilità per l’elettore di votare per un governatore e una lista a lui non collegata). Accrescendo il peso dei candidati consiglieri, la riforma legherebbe maggiormente il destino del governatore a quello della sua coalizione.