Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

In ricordo degli amati defunti

Fonte: L'Unione Sarda
1 marzo 2013


1943-2013. Ieri in via Roma la cerimonia per le vittime della strage del 28 febbraio
 

Zedda: «L'obbligo della memoria dei bombardamenti»
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Settant'anni fa era domenica. C'era un sole beffardo. E i cagliaritani accorrevano alla messa di mezzogiorno. All'uscita, ad accoglierli, i bombardieri americani. Ridussero la città in briciole, uccisero 200 civili. Settant'anni fa gli uomini dai capelli grigi, le donne dalle chiome bianche, i passi claudicanti, i bastoni per reggere la fatica dell'età, riuniti in questo 28 febbraio 2013 nella chiesa di San Francesco da Paola, erano bambini e sono venuti, numerosi, a ricordare la mattina in cui la loro infanzia volò via accompagnata dalle anime dei cari.
I REDUCI In questa giornata dedicata al ricordo, la chiesa di via Roma basta appena ad accogliere chi, al di là del dovere istituzionale che mai come questa volta si tramuta in piacere, si è presentato per commemorare le vittime della domenica di sangue quando l'epica bugiarda della guerra si sfaldò insieme alle case di Cagliari. Così, fra gli stendardi delle associazioni dei combattenti, il gonfalone della città, lungo le panche si confondono le autorità civili e militari con i bambini di allora, oggi veterani. Nonni a volte accompagnati dai nipoti, più spesso stretti nei cappotti neri e nella solitudine.
MONSIGNOR MIGLIO Fra ex alpini, carabinieri di lungo corso, marinai di infinita navigazione, fra le vedove e gli orfani, rimbombano le parole dell'arcivescovo Arrigo Miglio che indica nella sua omelia la differenza «fra il deserto, la via dell'odio» e «il cammino della pace», tra l'uomo che pensa di bastare a se stesso «l'uomo che si eleva al livello di Dio, che si autonomina Superuomo» e il Giusto. Parole valide per chi portò il mondo alla guerra planetaria, monito per chiunque pensi di ergersi con arroganza, anche in tempi moderni su tutti e tutto. E mentre scorrono queste riflessioni assume senso profondo la presenza in prima fila dei vertici di tutte le istituzioni di quello Stato che nacque dopo troppe domeniche di sangue come quella che patì Cagliari la mattina del 28 febbraio del 1943.
GLI INVALIDI La guerra non è lontana. È presenza costante nei corpi lacerati di chi non riuscì a mettersi in salvo. Non è un caso che l'ultima preghiera sia pronunciata da Antonietta Andretta. Era in fasce, neppure 6 mesi, una bomba le portò via il braccio sinistro e tante altre cose. Come lei sono in molti stamattina che, mentre ci si sposta in corteo sotto i portici del Consiglio regionale, portano i segni del martirio: Pietro Puddu, 6 anni, le bombe gli strapparono via la vista ma non gli impedirono di diventare esimio professore. Lazzarino Loddo, presidente di tutti loro, legge commosso davanti alla lapide che ricorda i caduti: «E come ogni anno sono qui come rappresentante di tutte quelle persone che durante la guerra subirono mutilazioni, sono qui come testimone di un'orrenda guerra che segnò la vita di quei bambini, compreso il sottoscritto, che ignari giocavano con strumenti di morte sotto forma di penne stilografiche o giocattoli».
IL SALUTO È un giovedì di nubi e vento gelido il 28 febbraio 2013, ma l'assemblea non si scioglie. Perché le parole di Lazzarino sono uniche. Sono cariche di commozioni quando dà il merito agli amministratori giovani di aver voluto mantenere saldo l'obbligo della memoria. Lo dice chiaro citando l'assessore Enrica Puggioni e il sindaco Massimo Zedda. Non piaggeria ma cronaca di ciò che è accaduto e accadrà in onore dell'anniversario. Le ultime parole sono del primo cittadino erede di quei giorni. Quando la tromba suona il silenzio viene in mente una lettera a una madre che in guerra perse i figli: «Prego che il nostro Padre Celeste possa mitigare l'angoscia del vostro cordoglio, e vi lasci solo il ricordo meraviglioso degli amati defunti, e la solenne fierezza che vi deriva dall'avere deposto un così costoso sacrificio sull'altare della libertà». Abramo Lincoln, padre degli americani che in quei giorni furono implacabili nemici. Poi liberatori.
Francesco Abate