LA STORIA Dodici appartenenti alla comunità rom, tra loro anche bambini, ospitati dalla Caritas nella storica struttura con giardino e anfiteatro. Il Comune all’oscuro della decisione
Una famiglia di rom, da qualche giorno e per un mese, vive a Villa Asquer, in viale Ciusa. Dodici persone, tra loro anche bambini, che all’insapu - ta del Comune sono state trasferite dalla Caritas, braccio operativo della Diocesi nel sociale, nello storico immobile al civico 28, di fronte al deposito del Ctm. Una presenza, quella dei nomadi, che è stata notata dai residenti della zona, che nei giorni scorsi hanno assistito al trasloco effettuato con sgangherati furgoni. Ai rom è stata destinata una parte del pian terreno della villa. E naturalmente hanno la possibilità di usufruire del gigantesco giardino con tanto di anfiteatro, che in passato ha ospitato numerosi concerti. «Ma ci hanno messo i rom sotto casa? », è la domanda da bar che si pongono coloro che abitano intorno alla villa, che fu donata dall’avvocato Asquer alla Regione. «Sì, la Caritas ci ha trasferito qui per un mese», dice il portavoce della famiglia Sulemajnovic, «ma non vogliamo disturbare nessuno, non vogliamo che scoppi il casino dell’altra volta. Abbiamo paura di ritorsioni». L’altra volta. L’estate scorsa, in pieno agosto, quando si era diffusa la notizia che il Comune, dopo lo sgombero dell’incivile campo sulla 554, avesse trasferito i rom in una villa con piscina e marmi pregiati nelle campagne di Quartu. Si scoprì poi che la “villa” in realtà era un rudere e la “piscina” una vasca maleodorante e inutilizzabile. Ma la polemica fu talmente violenta che, nell’immaginario dei cagliaritani, la notizia iniziale è diventata una verità assodata. Stavolta la villa c’è davvero, ed è in città, confinante con le case. Anche se l’utilizzo, almeno sulla carta, sembra giustificato. La struttura storica è finita in gestione alla Caritas con una delibera della Regione del 16 novembre del 2011. Il documento della giunta prevedeva, a carico della Diocesi, la realizzazione di «un servizio di accoglienza, anche notturna, per i senza fissa dimora e per le persone in stato di necessità, in grado di contrastare le situazioni di emergenza, che possa consentire a coloro che hanno bisogno e che vivono in un grave rischio di vulnerabilità, di avere garantita la possibilità di non essere lasciati alla solitudine e all’ab - bandono». Di certo i rom rientrano in più di una di queste categorie. Ma almeno ieri sera mancavano tutte le altre attività connesse, che la Caritas avrebbe dovuto avviare, e che avevano giustificato la cessione dell’immobile. Ossia: un ufficio di tutela legale e «un Centro di ascolto e assistenza, con anche la funzione di segretariato sociale, che garantisca la possibilità ai più bisognosi e fragili di attivare possibili percorsi di sostegno e di reinserimento sociale», come si legge in delibera. Insomma, attività che agli occhi della gente avrebbero giustificato maggiormente la presenza dei rom. Invece il messaggio che passa è un altro: a Villa Asquer adesso vivono i rom. Enrico Fresu
(ha collaborato
Paolo Rapeanu)
LO SGOMBERO IL CAMPO SULLA 554 AREA ABBANDONATA E CARICA DI VELENI
Il sequestro del campo rom sulla 554 risale al giugno dell’anno scorso. Il sindaco Masimo Zedda all’inizio del mese aveva firmato un’ordinanza di sgombero sulla base di un provvedimento di sequestro emesso dalla Procura: nel terreno di prorietà comunale, alla periferia della città, i carabinieri del Noe avevano trovato di tutto. Sostanze incompatibili con la presenza di esseri umani, decine e decine di bambini, che si erano accumulate in 18 anni di presenza dei nomadi che nessuno si era preso la briga di controllare. O meglio: qualcuno ha vigilato, ma chiudendo più di un occhio davanti a quello che stava succedendo. Così il Comune continuava a spendere una montagna di soldi per manutenzioni delle strutture che venivano regolarmente devastate. E adesso dovrà sborsare cifre altissime, si parla di almeno due milioni di euro, per la bonifica dell’intera zona. Le famiglie ospiti, quasi trecento persone, erano state smistate in strutture comunali e gestite dalla Caritas. I rappresentanti della comunità, per un periodo, avevanmo protestato. Ma sulla vicenda, col tempo, era risceso il silenzio