TEATRO MASSIMO Una giornata dedicata alle memorie di una città messa in ginocchio dalle bombe. I morti, il terrore, la fame Un documentario di Piludu per informare anche i più giovani
Il rombo degli aerei e il buio innaturale del cielo a mezzogiorno. Poi solo fuoco, sangue e il silenzio della morte. La città colpita dalle bombe degli alleati il 17 febbraio di 70 anni fa. Ieri nella memoria di tanti. Il ricordo della fuga a piedi per chilometri lontano dal capoluogo in macerie, dopo centinaia di spezzonamenti. Pezzi di tufo e acciaio sparati dal cielo, dall’effetto micidiale: si spaccano in mille pezzi e colpiscono senza logica. Soprattutto vite umane. Il cibo che scarseggia, un pezzo di pane o formaggio si può avere solo in cambio di una giacca pesante o un completo di lenzuola. I rifugi sono pochi, tanti quelli di fortuna: pezzi di binario e cartoni alla stazione di piazza Matteotti, sotto si proteggono dalle bombe 20 cittadini. Centrati in pieno, vengono risucchiati in profondità, i loro corpi spariscono nel tempo di un respiro. Cento abitanti di Stampace sentono l’allarme antiaereo, nella cripta della Chiesa di santa Restituta c’è un rifugio. Chi ha la chiave per aprirlo non arriva, la morte piove dal cielo e dilania innocenti corpi. Chi può si arrangia e vende spiedini con carne di cane e piccione. Per catturare i volatili, ci si incolla alla mano del grano, il piccione si posa e viene catturato. Racconti inventati? Manco per idea: tutto vero, mentre la radio gracchia gli ultimi messaggi di un Benito Mussolini che incita alla lotta ma sa già di essere spalle al muro. “1943-2013: viaggio al termine della notte”. Aneddoti e lacrime che scendono da tanti volti ieri al teatro Massimo, un’intera giornata dedicata non solo al ricordo, ma anche all’ “informazione ”. Tanti ragazzi non Il ricordo Settant’anni fa la morte arriva dal cielo conoscono nulla di quei giorni, in sala la media dell’età è alta ma si fa quel che si può. «A Sant’Avendrace le bombe non sono arrivate, ma la fame sì»: c’era anche Giampaolo Loddo, che di Sant’Arennera è una delle anime, e ricorda: «Sono finito sfollato a a Las Plassas per tornare a Cagliari solo dopo qualche anno». Pierpaolo Piludu di Cada Die Teatro ha prodotto il documentario “Quando scappavamo col cappotto sul pigiama”, 60 minuti di testimonianze autentiche di sopravvissuti. Giulio Angioni, antropologo e scrittore: «I miei primi ricordi sono legati allo sfollamento, città e campagna rimescolate, esperienza mai avvenuta prima ». Poche ma chiare sono le parole del sindaco Massimo Zedda: «Dopo la guerra si voleva togliere alla città il ruolo di capoluogo di regione, ma si è rialzata con forza ed è rinata». Dalle 10 alle 13, oltre 400 persone hanno visitato due luoghi-simbolo: il rifugio di via Don Bosco e la cavità di via Vittorio Veneto. P. R.