«Vivere o morire era dettato dal caso». Si salvò perché sapeva fare l'elettrotecnico
Modesto Melis racconta in un libro l'esperienza nel lager
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Gusen, sottocampo di Mauthausen, aprile-maggio del 1945. Primavera, ma il freddo dell'Aka Austria penetra ancora nelle ossa quando, dal settore del lager dedicato alla costruzione degli armamenti bellici, un centinaio di uomini scheletrici muove i primi passi di una ritrovata libertà restituita dai soldati americani. Fra i deportati, scampato come i pochi altri compagni a sofferenze indicibili, c'è anche Modesto Melis, un ventiquattrenne di appena 35 chili che aveva abbandonato il suo villaggio di Gairo, si era trasferito nel '38 nella nascente Carbonia per fare l'operaio e, allo scoppiare della guerra, era stato spedito su più fronti. Oggi Modesto ha 93 anni portati con baldanza e fierezza: la passeggiata mattutina nel centro della città non gliela leva nessuna.
È ritornato dopo la liberazione a vivere a Carbonia e dopo aver raccontato mille e più volte agli studenti la sua storia affinché il ricordo di quanto accaduto non svanisca, ora ha messo nero su bianco la tragedia, che ha condiviso con milioni di altre persone che non ce l'hanno fatta, nel libro “L'animo degli offesi, storia di Modesto Melis: da Carbonia a Mauthausen e ritorno”. Opera di Giuseppe Mura, edita da Giampaolo Cirrosi, verrà presentata il prossimo 26 gennaio nella biblioteca comunale. Modesto Melis già una decina di anni fa aveva trovato finalmente la forza di rivelare pubblicamente la sua terrificante esperienza a questo giornale. E lo aveva fatto con estremo imbarazzo, quasi che la rievocazione della sua sofferenza in un lager costituisse un disturbo, fosse un fatto privato, troppo intimo per essere raccontato ad alta voce.
«Ma il contatto con gli studenti - rivela - mi ha fatto capire che non dovevo e non devo tacere e sinché ho forza racconterò quello che ho vissuto». Ha vissuto l'orrore, Modesto: «La morte era quotidianamente dietro l'angolo».
Subito dopo l'armistizio (8 settembre del 1943) era stato arrestato dai miliziani fascisti assieme ad altre truppe sbandate, quindi deportato in quanto prigioniero politico per lavorare letteralmente come uno schiavo nel sottocampo di Gusen. Prima, un breve passaggio nel campo principale di Mauthausen «dove ho subito imparato che vivere o morire era dettato dal caso». Modesto si salva dicendo di essere un elettromeccanico e viene spedito a costruire pezzi di aerei da guerra. Un po' come era accaduto a Primo Levi, uno dei 20 sopravvissuti dei 650 arrivati con lui al campo di Auschwitz. Grazie ai suoi studi chimici era riuscito a essere occupato nel laboratorio di Buma che lavorava per una fabbrica produttrice di gomma sintentica. «Un amico che non aveva specificato alcuna professione è sparito dopo otto giorni», ricorda con dolore Modesto.
Quello che sarebbe accaduto nei successivi due anni e mezzo è storia nota. Modesto ha la fortuna e la forza di non svanire nel silenzio. Torna a Carbonia, dove lo davano tutti per morto, riprende a vivere e per anni (come testimoniato da moltissime altre persone che hanno provato lo stesso dramma) abbozza spiegazioni che vengono credute a stento. «Anche adesso mi accorgo che, tranne i giovani, ci sono uomini che sembrano cascare dalle nuvole quando racconto certi, drammatici episodi». E allora che torni, Modesto, fra gli studenti e rinnovi con la tenacia dei suoi 93 anni il coraggio di raccontare una storia che non si deve mai dimenticare. Può farlo. Deve farlo.
Andrea Scano