Il presepe di Antonello Pilittu a Castello: un messaggio di serenità scolpito sui pani minerali
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C'è un presepio di pietra sulla terrazza di Santa Croce che si affaccia sullo scenario panoramico occidentale di Cagliari. Presepio semplice, povero e singolare, sistemato per terra davanti alle palme: due colombe bianche osservano Giuseppe e Maria e il Bambinello. Quest'ultimo è un sasso rotondo, una “pagnotta” sulla quale è scolpita la fisionomia di una donna che a sua volta tiene fra le mani un pane rotondo e schiacciato. Incombe sul gruppo un'altra allegoria femminile, una donna che assume il ruolo di stella cometa. Messaggio di fine anno, che vuol essere «augurio di pace per un mondo che ne sente il bisogno».
È l'omaggio natalizio di Antonello Pilittu, scultore di Capoterra che si ripresenta al pubblico dopo un periodo di silenzio seguito a due mostre importanti, una al Ghetto e l'altra a Ginevra. Raccoglie consensi il suo genere antimonumentale, espresso in forme primordiali e allusive che emergono dalla pietra levigata, figure umane o di animali umanizzati, idoli grotteschi, volti stupiti e dolorosi: specchio delle angosce segnate da tempi difficili. Fin da quand'era ragazzo questo tormentato artista raccoglie sassi, riconoscendovi misteriose sembianze che si adopera a rendere esplicite modellandole con lo scalpello e attraverso una personale lettura metafisica. Così, con purezza e semplicità di stile, descrive miseria e afflizione, denuncia ingiustizia e disumanità, indica desiderio di serenità.
Stavolta il suo primitivismo simbolico ha trovato nel presepe una rappresentazione ideale di una mistica che parte dalla sacralità della famiglia. La donna-cometa dispensa luce, il Gesù-pane distribuisce prosperità di vita, le colombe abbracciano l'umanità intera nel loro emblema di pace.
Oltre al presepio, Pilittu espone altre quattro sculture in pietra e due in bronzo nel caffè Libarium, che sta di fronte e che intende offrire in questi giorni (fino al 28 dicembre) un tocco artistico nella penombre dell'ambiente. Anche queste figure, estremamente stilizzate, simbolizzano la donna sarda, la maternità, la coppia, la famiglia. Nella ieraticità e nello stile i due bronzi rivelano la scuola d'origine dell'artista, che ancora giovanissimo ascoltava e aiutava il maestro Franco d'Aspro.
Alle statuine fanno compagnia - disseminate attorno - dieci pitture di Virgilio Cotza, caratterizzate dai colori scuri (rosso, nero, tocchi d'azzurro) e da uno stile anche questo primitivista, ma di gusto post-graffiti. Quadri di suggestivo impatto che indicano il pensiero e il percorso evolutivo del pittore di Pula, i cui temi e le linee d'espressione richiamano preferenze mitologiche d'appartenenza sarda: guerrieri ancestrali, figure tribali e altri stilemi di suggerimento nuragico, sintetiche forme umane e di animali, ma anche fantasie dai toni assai meno cupi, contrassegnate da piccoli e allegri motivi di contorno. Cotza - che in qualche caso gioca con sovrapposizioni scultoree sulle colorature della tavola - riconosce spontaneità di valori genuini nelle culture primordiali, e forse anche per questa convinzione si accosta ad Antonello Pilittu (assieme al quale, fra l'altro, ha esposto l'anno scorso a Ginevra).
R.C.