UN CAFFÈ CON. Mario Maffa, origini siciliane, capo dell'Arciconfraternita del Gonfalone
«Un Alter Nos donna? Sì, credo sia giunto il momento»
Il suo primo caffè da neo presidente dell'Arciconfraternita del Gonfalone sotto l'egida di Sant'Efisio quasi non gliel'hanno fatto prendere. «Il telefono trillava e trillava e trillava». Perché diventare il Primo Guardiamo a capo di uno dei riti più importanti, se non il più famoso (capace di coniugare ogni primo maggio fede, cultura e tradizione), è un fatto che mica passa inosservato. Ora spetterà a lui, Mario Maffa, nato a Messina nel 1948, far sì che lo scioglimento di un voto che si è perpetuato per 356 anni vada avanti senza scossoni per i prossimi tre anni, quelli che saranno sotto il segno della sua presidenza.
L'incontro è serale. Ovviamente in piazza Sant'Efisio, nel cuore della città. Serata di maestrale gelido, tagliente. Eppure il clima è caldo. Perché il clima è di festa, dato che è l'occasione per baciare e stringere mani ai nuovi componenti del Consiglio d'amministrazione della Confraternita che come da tradizione si sono dati appuntamento per la messa.
Un ex siciliano a capo di una tradizione sardissima.
«No, non ex. Siciliano. Quando posso vado nell'isola per tenere saldo il mio legame».
E come ci è arrivato a Stampace?
«Ci venne il mio papà da militare, sposò mia madre, stampacina, poi insieme tornarono a Messina».
Dove lei è nato.
«Esatto. Poi mio padre morì giovane e mia mamma decise di tornare a Cagliari, in città c'erano tutti i suoi parenti, ovviamente si sentiva più protetta. Io avevo 20 anni, era il 1969. Qui a Stampace ho conosciuto mia moglie, qui sono nati mio figlio e mia figlia».
E l'amore per Sant'Efisio?
«Se vivi fra queste vie, se frequenti gli abitanti del rione, se ti sposi e se sei figlio di una di loro non puoi non diventare devoto. Sono entrato nella confraternita nel 1979».
Oggi è Primo Guardiano. La massima carica.
«Ho fatto un lungo cammino, per due volte però sono stato Terzo Guardiano a cui il Primo concede l'onore dell'organizzazione dello scioglimento del voto. Lo sono stato nel 1988 e nel 2001, finito il commissarimento».
Anche la presidenza può essere reiterata?
«No, assolutamente. Primo Guardiano sì è solo una volta nella vita».
Onori e oneri. Capoterra chiede con insistenza da anni che la processione passi anche lì, visto che il loro santo patrono è Efisio.
«È vero. E non hanno tutti i torti. Un anno facemmo la prova. Ma fu molto faticoso, soprattutto per i pellegrini a piedi di cui ho sempre fatto parte. Si allunga troppo il tragitto. Arrivammo a Sarroch oltre le 2 della notte, solitamente ci si arriva verso le 23.30».
E quindi?
«Quindi, mi dispiace dirlo, non è possibile. Faremo come lo scorso anno: dedicheremo due giorni fuori dai festeggiamenti di maggio solo per portare il Martire a Capoterra».
Già dallo scorso anno il sindaco Massimo Zedda ha fatto capire che dopo oltre 350 edizioni è il momento di vedere a cavallo un Alter Nos donna. Lei che ne pensa?
«Perché no. Certo. Basta che rispetti l'abito della tradizione, insomma che indossi giacca, tuba e pantaloni. Ben venga una donna. Nessuna discriminazione. Nella storia ci sono state donne che hanno guidato imperi e noi non possiamo avere una brava Alter Nos? So poi che fra le consigliere comunali ci sono ottime amazzoni. C'è quella magrolina e brunetta».
Francesca Ghirra?
«Sì, esatto».
Tribune autorità. Lo scorso anno il sindaco le abolì e risparmiò sul budget. Fece bene o fece male?
«Ah, su questo non ho dubbi. Fece male, secondo me».
E perché?
«Perché io le rimetterei, però farei in più una bella cosa».
Quale?
«Farei pagare alle autorità un bel biglietto. Uguali come tutti gli altri. Darebbero un ottimo esempio e favorirebbero gli incassi».
Lei ha proprio l'anima del commerciante.
«Certo, lo sono stato per tutta la vita. Ho fatto il commesso per Guarino, da Fazio ma soprattutto ho aperto Negozio 2001, il grande e famoso negozio di Piero Capra».
Poi si è messo in proprio?
«Sì, ho inziato facendo l'ambulante. Vendevamo pellami. Andava tutto bene sino al 1991. Se lo ricorda il grande incendio della Bancarella d'Oro di quel Natale?».
Come no. Un rogo impressionante.
«Ecco. Noi ci perdemmo tutto. Ma proprio tutto. Fu un'immensa tragedia».
Poi si è ripreso?
«E be' certamente, se no non sarei qui».
Lei arrivò a Cagliari nel '69, com'era la città?
«Molto chiusa, entrare nella Confraternita fu una maniera per socializzare e trovare una grande famiglia».
Meglio allora o oggi?
«Visto il momento economico direi meglio allora. Paradossalmente. Ero giovane sulle mie spalle gravava tutta la mia famiglia che aveva perso la sua guida. Eppure avevo una prospettiva, la possibilità di mettermi in gioco e affrancarmi. Come, infatti, è accaduto».
E oggi no?
«Adesso è un dramma. Per i nostri figli non c'è futuro. Si possono ammazzare di studi, si posso preparare quanto vogliono ma non ci sono speranze».
Parla dei suoi figli?
«Parlo dei figli di tutti».
Cosa chiederà a Sant'Efisio il prossimo maggio?
«Gli chiederò un futuro per le prossime generazioni, un lavoro, una serenità che adesso purtroppo non c'è e vedo sempre più lontana. Ma non aspetterò a maggio, lo farò già dal 15 gennaio quando presterò giuramento e porteremo Efisio in processione dato che ricorderemo come sempre in quella data il suo martirio».
Il sindaco Zedda?
«Certe cose mi piacciono di lui, la prima cosa che mi viene in mente sono le piste ciclabili. Su altre vedo delle grandi incognite».
I cagliaritani?
«Brava gente. Siamo un popolo tranquillo e simpatico».
I cuccurus cottus?
«Dei buoni vicini di casa, un po' mattacchioni».
A chi lo offre un caffè?
«A Fabrizio Pau, il mio predecessore alla presidenza dell'Arciconfraternita del Gonfalone».
Francesco Abate