Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Seuesi, il giorno dell'orgoglio

Fonte: L'Unione Sarda
18 dicembre 2012


Assemblea dell'associazione riunisce gli emigrati e i loro figli: iniziative per il paese
 

Solidarietà, lavoro e risparmi: il segreto del successo
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«Mi raccomando, Seui non è Ogliastra». Ex primario dell'Oncologico e presidente della Lega Tumori, Piero Ballicu fulmina subito chi sbaglia la paternità geografica del paese dove è nato e cresciuto, figlio del medico condotto. Sedeva in prima fila sabato scorso nella saletta del Caesar's :150 poltroncine (tutte occupate) nell'hotel di proprietà di Mario Murgia, figlio di Cesare un altro seuese (Sa Cardiga e su schironi) che ha fatto fortuna in città come tanti suoi compaesani che l'altro giorno hanno risposto all'invito affisso in quasi tutti i bar cagliaritani per l'assemblea dell'associazione degli emigrati. Una serata dell'orgoglio per cercare di rinsaldare i legami col paese natale, dargli una mano (adesso che i soldi ci sono) a mettere una barriera allo spopolamento.
L'ONDATA «Con quelli della terza generazione, i seuesi a Cagliari e provincia sono quasi ottomila», ipotizza Antonio Anedda, medico del 118 e presidente dell'associazione. La grande ondata è arrivata negli anni Cinquanta in contemporanea alla chiusura della miniera di antracite, unica industria che dava lavoro stabile nella Barbagia di Seulo. Fu l'inizio dell'epopea dietro un banco di vendita.
SOLDARIETÀ «Quando decideva di partire», spiega Giuseppe Deplano giornalista e appassionato di storia del suo paese natale, «l'emigrato non era lasciato solo: aveva dietro la solidarietà dei compaesani». In pratica, otteneva da chi poteva i soldi necessari per avviare un'attività (di solito bar o frutta e verdura) ed era un prestito sulla parola d'onore che seguiva ( e segue) le regole di un codice non scritto. Restituirlo diventava un obbligo morale davanti a tutto il paese che non si poteva infrangere. Tutto qui il segreto della propensione a mettere da parte anche le cinque lire: un'abitudine al risparmio diventato il marchio di qualità di una comunità che non conosceva orologio sul posto di lavoro . «Un seuese - aggiunge Deplano - non poteva assolutamente fallire, proprio perché doveva restituire i soldi che gli erano stati prestati».
GLI INIZI Erano anni difficili, i primi: Alberto Lai li ha ricordati quando a sette anni il padre lo fece venire nella trattoria appena aperta in piazza San Domenico. «Ci alzavamo alle sei del mattino e andavamo a letto alle due di notte». Erano gli anni Cinquanta, ora è un imprenditore affermato (Neon Europa) e come lui tanti altri suoi compaesani hanno avviato attività meno stressanti. Fino a dieci anni fa, il 95 per cento dei locali pubblici erano nelle mani di seuesi. «Ora siamo al 75 per cento: molti hanno ceduto l'attività a gente di Desulo e Seulo», racconta Lai. Passati i 60 anni da un pezzo, fino al giorno prima era su una gigantesca gru in viale Diaz, impegnato a montare l'insegna di una banca. Il tempo dei sacrifici dietro il bancone è finito, del lavoro no.
Antonio Martis