L'artista e lo stile Bausch
«All'inizio doveva essere solo una pièce teatrale, poi Fabre ha pensato di inserire anche una parte legata al movimento. Jan ha un occhio molto buono. Un giorno giocavo col corpo e lui mi ha invitato a proseguire. Così, ho continuato a giocare attraverso le parole», spiega il danzatore e attore Antony Rizzi, dopo lo spettacolo.
Droghe, sesso, bellezza e consumismo sono le ossessioni del nostro tempo…
«Sì, anche le pillole che ingeriamo ogni giorno, vengono fatte con degli involucri belli e colorati. La bellezza è importante anche in queste cose e aiuta a vendere. Nella medicina, nella moda e in tanti altri campi».
Attraverso la danza si può entrare nella testa delle persone? Per molti è un'arte che ha poco significato.
«È difficile, anche se non impossibile, evidenziare dei significati con il linguaggio del corpo. Per questo nei miei lavori non mi affido solamente alla danza. Quando vidi per la prima volta Pina Bausch e il suo teatrodanza pensai: questo ha un significato».
Le produzioni di Fabre sono sempre un crocevia di immagini forti e provocatorie: come lavorate?
«Ogni cosa costituisce fonte d'ispirazione. Al momento, ad esempio, sono interessato ai movimenti che si fanno in cucina, da cui magari potrebbero arrivare impulsi per un prossimo spettacolo. Uno degli ultimi lavori di Fabre, “Orgy of Tolerance”, è scaturito da un mio movimento creato per spiegare un gioco di parole. Il movimento può nascere anche da un interrogativo. La Bausch partiva sempre da qui».
“Drugs kept me alive” parla di droga, sesso e malattia: avete ricevuto proteste?
«Lo spettacolo non lancia messaggi ma contiene delle domande. Quando riferendomi al mio corpo a un certo punto dico, “mi sento più debole, il mio scheletro è più fragile”, intendo interrogarmi su come ballerò, visto che ho una malattia. Riguardo al tema delle droghe, che affiora costantemente, ritengo che il testo dia una lettura troppo positiva sul loro impiego, anche se non penso che utilizzarle sia svantaggioso. Bisogna stabilire il perché si prendono».
Cos'è per lei la speranza?
«Qualcosa di negativo, come del resto la paura. La speranza ti proietta nel futuro facendoti perdere di vista il presente. Speri, ma intanto non fai niente di concreto».
Si considera un coreografo?
«No, sono un artista che fa teatro col movimento e la danza».
Collabora con William Forsythe: cosa ammira di più in lui?
«Il fatto che riesca a tirare fuori le cose migliori dalle persone con le quali lavora. Inoltre è un meraviglioso insegnante».
Le capita mai di annoiarsi a uno spettacolo di danza?
«Da poco ho visto il Balletto di Monaco: sono sprofondato in un sonno profondo».
Cosa pensa di Roberto Bolle?
«Ha una tecnica perfetta, però, come diceva Pina Bausch, non mi interessa come ti muovi, voglio sapere perché».
Carlo Argiolas