Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Le farfalline vanno in sala

Fonte: L'Unione Sarda
25 ottobre 2012

 

Da oggi “Bellas mariposas” nei cinema della Sardegna

Da oggi la palla passa al pubblico.

Bellas mariposas esce in tutta la Sardegna, poi nella penisola. Un film molto atteso, perché tratto da un amatissimo libello di Sergio Atzeni, perché è stato apprezzato e premiato alla Mostra di Venezia nel settembre scorso, perché racconta una Cagliari periferica (ma potrebbe essere qualsiasi città del mondo) abitata da una gioventù bruciata, immersa in un degrado sociale e morale dal quale cerca di uscire con leggerezza e ironia. Lo sguardo è quello di due ragazzine, Cate e Luna, che proiettano sugli spettatori il loro mondo bacato ma pieno di sogni. Ieri mattina conferenza stampa, presente il regista Salvatore Mereu e il cast (che stasera saranno alle 20 all’Uci e alle 21 al Cineworld per parlare al pubblico prima della proiezione).Timidezza e poche parole da parte dei giovanissimi attori, in particolare le protagoniste Sara Podda e Maya Mulas, poi Davide Todde, Anna Karina Djatlyk, Lucia Coni, Silvia Coni. Risposte quasi all’unisono: «Una bella esperienza, divertente ma i personaggi che abbiamo interpretato non ci assomigliano per niente». Molta riconoscenza da parte dell’effervescente Carlo Molinaro, da Maria Loi e Rosalba Piras verso il regista: le due attrici in particolare, con un lungo excursus teatrale, sono rimaste colpite dall’esperienza cinematografica. C’è fermento intorno al film, e lo ha ribadito la direttrice della Film Commission, Nevina Satta, che attraverso Bellas mariposas punta a spargere ottimismo sulla produzione sarda e alla creazione di un sistema audiovisivo che possa far da volano ad altri settori dell’economia. Intanto il film aspetta il suo pubblico e Mereu si raccomanda che funzioni il passaparola, «oggi lo scenario della distribuzione è totalmente cambiato per i piccoli film di nicchia come questo, per cui la risposta degli spettatori isolani è importante ». Fuori dal rito conferenza stampa Mereu racconta molti particolari curiosi e interessanti. Prima di tutto la difficoltà nell’affrontare il libro di Atzeni. «Era pieno di trappole: niente dialogo, i fatti riferiti in maniera indiretta, una cadenza drammaturgica lontana dalle regole classiche. Nello scorrere dei pensieri della ragazzina non c’era un rapporto di causa-effetto. Così fino all’ultima inquadratura non sapevo che film avrei portato a casa. Proprio l’ultima scena l’ho girata tante volte e con tante sfumature, volevo raggiungere il giusto equilibrio». L’adolescenza, età inquieta, è sempre al centro dei suoi film. Perché? «Il passaggio dall’età puberale all’adolescenza è un breve momento ricco di accadimenti, in cui il modo di sentire la vita amplifica qualsiasi gesto, salire una rampa di scale o rispondere male ai genitori può rappresentare una piccola avventura, tutto diventa terribilmente importante a quell’età. Che il cinema ha sempre saccheggiato ». Come ha trovato la naturalezza di recitazione nelle due protagoniste? «È stato un avvicinamento progressivo, ho cercato di conquistarle, di metterle nella condizione di fidarsi di me. Abbiamo prima provato le parti come se fosse uno spettacolo teatrale, poi si è stabilita una complicità tale che potevo chiedere loro di tutto». Difficoltà per farle entrare in una parte così cruda? «No, sono state al gioco. Per loro non doveva essere un lavoro. Nel momento in cui lo diventava perdevano la freschezza. In ogni caso ho fatto prima leggere il racconto ai genitori, dovevano sapere bene di cosa trattava il film. Volevo evitare fughe all’ultimo momento». Un anno di set, o quasi. «Vero, con una interruzione di qualche mese per mancanza di soldi. Uno stop che rischiava di compromettere il film. Perché in quei tre mesi le ragazzine potevano crescere e cambiare nel fisico. Per questo ho girato in ordine cronologico, volevo che l’amicizia di Luna e Cate, così come nel romanzo, crescesse nel film e nella realtà. Altrimenti quel finale con l’innocente bacio non ci poteva essere». Cagliari città cinematografica? «Sì, ha grandi potenzialità. Io venivo dal filmare muretti a secco e greggi e finalmente ho filmato il cemento. Talvolta pensando a Rohmer e Truffaut, perché le tue passioni entrano sempre nell’inquadratura a livello inconscio». Sergio Naitza