VENERDÌ, 31 OTTOBRE 2008
Pagina 41 - Cultura e Spettacoli
Dal Medioevo pisano e genovese sino all’epoca della dominazione spagnola, i motivi politici ed economici del contrasto
Il saggio di Francesco Manconi che riscostruisce secoli di rivalità
Pubblichiamo alcune pagine del primo capitolo del libro di Francesco Manconi «Tener la patria gloriosa» (Cuec Editore), vincitore del Premio Alziator per la saggistica.
di Francesco Manconi
Alla fine del Cinquecento contrasti irriducibili si accendono fra le città di Cagliari e di Sassari. Affondano le radici, quei contrasti, nel turbolento medioevo sardo, quando la predominanza delle signorie italiane aveva di fatto determinato la divisione dell’isola in due zone d’influenza (Pisa al sud e Genova al nord). In quel tempo erano scoppiati molti e duraturi conflitti, caratterizzati da mutevoli alleanze di città, giudici e signori locali con i potentati d’oltremare italiani e ispanici. Questo stato di disunità politica si accentua in epoca catalana e finisce per segnare definitivamente la fisionomia istituzionale dell’isola. La creazione di due grandi circoscrizioni amministrative come il capo di Cagliari e Gallura e il capo di Sassari e Logudoro, dotate ciascuna di proprie magistrature regie (governatorati, tribunali, vescovadi, ecc.), sancisce una bipartizione territoriale di lunga durata. La costituzione, fra Trecento e Quattrocento, di municipi strutturati sul modello catalano consolida l’assetto policentrico. I municipi sardi sono istituzioni autonome e distinte dall’amministrazione regia, e vantano ciascuno un corpus di privilegi giuridici ed economici sedimentati nel tempo. All’epoca dei re cattolici il «regiment municipale» d’impronta catalana non verrà modificato; anzi, le riforme fernandine ne definiscono in maniera più compiuta il profilo autonomistico. Il governo delle classi sociali più rappresentative delle città farà aggio sul ruolo amministrativo delle magistrature municipali di nomina regia. La vigorosa persistenza in età moderna di un municipalismo fondato sull’autogoverno è la matrice del forte sentimento particolaristico che si riscontra negli abitanti delle città. Si esprime, questa sensibilità dei cittadini, nell’identificarsi nei valori storici, politici e giuridici del municipio d’appartenenza. La città, depositaria di specifici diritti, privilegi, obblighi ed ambiti giurisdizionali, è dunque la «patria» per antonomasia, è lo spazio sociale e politico in cui si riconoscono principalmente gli uomini del tempo. Quanto forte fosse ai primi del Seicento l’attaccamento al luogo di nascita è ben esplicitato nell’aforisma dell’umanista Baltasar Llamos De Barrientos: «Es tanta la fuerça que tiene la patria con los della, que aunque más áspera, horrible, triste y mala en su cielo, ayre, tierra y vista, es amada y habitada dellos de buena gana»: per quanto scadente, il paese d’origine è vissuto, abitato e amato con un sincero sentimento d’appartenenza comunitaria. La «patria» è dunque il luogo dove si nasce, è la villa o la città. Quasi mai la patria è il Regno, che invece viene percepito spesso dall’uomo moderno come un’entità astratta, composita, distante e talvolta persino ostile. [...]
Le prime avvisaglie di una competizione durevole e senza esclusione di colpi fra le due città del nord Sardegna si profilano dunque già nel primo scorcio del secolo XVI. In realtà, a fare la differenza è la qualità della portualità, che è sempre determinante per stabilire le gerarchie economiche dei centri mercantili. Non è un caso che le città marittime destinate al declino sono quelle che non possono vantare strutture portuali o approdi efficienti. Sassari, Bosa ed Oristano soffrono della ricorrente impraticabilità dei loro scali marittimi soggetti a interramenti, Castellaragonese non è dotato di un ricovero idoneo a fare fronte alle avversità del mare, Iglesias non dispone neppure di uno sbocco sul mare. Le difficoltà di Sassari e del suo porto si manifestano a più riprese nel Seicento, nel 1618, quando la riforma del porto di Torres viene interrotta per mancanza di mezzi finanziari; nel 1666 per il blocco totale del commercio dovuto all’impraticabilità del porto a cui Madrid non intende porre rimedio; nel 1686, quando persino i mercanti ambulanti, che operano nei villaggi con le loro «tiendas» mobili, sono considerati concorrenti pericolosi che pregiudicano le attività commerciali della città. [...]
Se si mette a confronto il trend demografico delle due maggiori città sarde fra Cinquecento e Seicento si apprezzano meglio le differenze fra il dinamismo di Cagliari e l’inarrestabile recessione di Sassari. Mentre la prima conosce una crescita costante fino a metà Seicento (8.000 abitanti nel 1589, 12.000 nel 1627, 16.000 nel 1655) e una sostanziale tenuta dopo la grande pestilenza del 1656 e la carestia del 1680-81 (12.000 abitanti nel 1698), la seconda vede interrompersi bruscamente la sua secolare supremazia demografica (11.000 abitanti nel 1589, oltre 16.000 nel 1627) per le stragi della peste del 1652 (6.800 abitanti nel 1655) da cui non sarà più capace di risollevarsi del tutto (11.000 abitanti nel 1698)29. Mentre Cagliari raddoppia quasi la sua popolazione, Sassari è appena in grado di recuperare gli effettivi della fine del Cinquecento. L’evoluzione demografica è la spia di una differente situazione economica e di una diversa capacità di controllo del territorio e d’attrazione degli abitanti dei paesi del circondario. Dopo la peste, mentre Cagliari è in grado di ricostituire subito la sua forza-lavoro attingendo alle risorse umane provenienti dai villaggi delle zone interne, Sassari è una città spopolata che non riesce a risarcire i vuoti demografici perché non rappresenta più il polo d’attrazione per gli abitanti delle «villas» circonvicine le quali orbitano sempre più su Alghero. Con la fatidica svolta di metà Seicento Sassari perde definitivamente la partita con Alghero, che già da qualche decennio le contende persino il primato burocratico invocando lo spostamento del Tribunale dell’inquisizione e del Governatorato del Logudoro da Sassari ad Alghero. Ma Sassari arretra ancor di più nei confronti di Cagliari, verso la quale non può più avanzare serie pretese di primato politico, economico e morale. [...]
La competizione fra le maggiori città del Regno ha, dunque, una storia plurisecolare. Va in crescendo nelle riunioni delle «cortes» del Regno quando il metodo contrattualistico, che informa il dibattito parlamentare, offre alle città presenti le migliori opportunità per rinfocolare il solito inesauribile contenzioso. E’ in quei momenti topici del confronto politico che la difesa di prerogative e preminenze si fa più accesa. Riunite formalmente nello stamento reale, le città sono sempre divise da interessi contrastanti, a riprova che l’autonomia municipale si traduce sistematicamente in una lacerante disunità del Regno.