Sporcizia, ruggine e transenne: un angolo di desolazione e degrado in pieno centro
Puzza e pericoli nel selciato rovinato dalle radici giganti
L'odore di urina dà il benvenuto a chi si avventura nelle aiuole orfane di spazzini da chissà quanto tempo. Nauseante quanto basta per girare subito alla larga soprattutto di primo mattino. La puzza è il biglietto da visita di un angolo del centro, carico di un secolo di storia cagliaritana ma lasciato nel degrado da più di vent'anni, Piazza Garibaldi, piazza della vergogna.
ANNI D'ORO Al centro il chiosco con pretese liberty è aggredito dalla ruggine che annerisce il verde, colore originale d'altri tempi: negli anni d'oro vendeva caramelle e liquirizia ai bambini che sciamavano a centinaia, distribuiti nei doppi turni della scuola Riva. Un monumento di inizi Novecento, restaurato di recente e con i muri giù imbrattati. Ha ospitato generazioni di scolari e l'ala che dà su via San Domenico i pionieri della campagna contro la malaria. Li ricorda una lapide, risparmiata (ma solo perché è in alto) dalle incursioni della vernice spray.
C'è ancora una cabina telefonica che funziona a schede: in tempi di smartphone, è usata solo come bacheca per annunci tipo «affittasi a studentessa...».
PERICOLI Bisogna stare attenti a dove si mettono i piedi. Il pavimento è dissestato, un manto trasformato in percorso di guerra dalle radici degli alberi. Mostri sottoterra, con tentacoli lunghi dieci-dodici metri, arrivati a perforare i tombini e a destabilizzare un'edicola che si regge solo grazie a due spessori di ferro. Inciampare è facile. Di bambini che giocano non se ne vedono neanche la sera, portarli sarebbe da sciagurati: cadute, sbucciature e sangue dal naso sono all'ordine del giorno tra i passanti, vittime soprattutto donne e pensionati.
«Tra cani di giorno e ragazzi di notte, questo è un pisciatoio all'aria aperta», sbotta Francesco Ara, pensionato di Siurgus Donigala ospite fisso con un gruppo di coetanei tutti i giorni in una panchina. Eppure è una delle poche piazze dotate di un vespasiano pubblico: un ampio locale sotto la terrazza del Riva, ha perfino le docce, fino a venti anni fa ospitava anche un barbiere. È murato, scelta finale del Comune per evitare altre incursioni.
GLI ALBERI La piazza conta 33 ficus retusa, specie di origine tropicale che coi decenni sono diventati alberi maestosi, frondosi e ingombranti. Belli a vedersi, ma letali per il sottosuolo (e l'incolumità pubblica). A ogni cenno di pulizia e di sgombero, puntuali spuntano gli ambientalisti più arrabbiati: l'ultimo blitz qualche mese fa quando sui grandi fusti sono stati appesi cartelli e striscioni in difesa delle piante giganti. Le radici hanno rotto anche le tubature e gli scarichi del chiosco sbarrato da oltre un decennio. «L'ho acquistato nove anni fa assieme a mio fratello», racconta il pizzaiolo Mosè Corso, «ma è inutilizzabile: se non si recupera la piazza non ha senso metterci soldi». Potrebbe offrire - di giorno e di notte - servizio a tavolino, per il momento permette di sbizzarrirsi soltanto a chi pasticcia con le bombolette spray. I muri sono testimonial del degrado: scritte soprattutto di sapore politico, alcune sbiadite dagli anni, altre più nuove che si accavallano con i disegni di fantasia. Arte di strada, certo, ma il decoro è un'altra cosa.
«Questa è una piazza storica, al Riva ci hanno studiato generazioni di cagliaritani, ma al Comune non se ne sono mai accorti», denuncia Gianni Murgia negoziante di abbigliamento in via Farina. In questi giorni con un gruppo di colleghi sta mettendo in piedi una comitato di residenti e negozianti. Forse c'è uno spiraglio per ottenere qualcosa. Due settimane fa un'ala della scuola Riva, oggetto di un restauro non ancora ultimato, ha sentito nuovamente risuonare voci infantili: alcune aule ospitano due classi di scuola materna. È un segno di vita.
Antonio Martis
Cani a passeggio, pensionati chiacchieroni, le donne-badanti dei piccioni
Il popolo delle panchine
Dalle serate dei filippini alla petizione per l'ortolano
Con la sua bancarella di frutta e verdura era approdato sotto Natale. La gente aveva gradito e c'era rimasto, forte di una concessione comunale: un ortolano di Senorbì ha restituto tutte le mattine qualche ora di vita sociale a piazza Garibaldi, un gesto di intraprendenza in un posto desolato e triste dove è meglio non fermarsi. A fine luglio è stato sloggiato dai vigili, puntuali alla scadenza della licenza. I pensionati che si ritrovano tutti i giorni a chiacchierare di calcio e politica nella panchina dietro l'edicola l'hanno presa male: in poche ore hanno raccolto decine di firme tra gli amici, i negozianti, le clienti affezionate di un chioschetto che offriva prodotti freschi e la possibilità di scambiare quattro parole. La petizione ha preso la via del Comune ed è finita lì.
La piazza è ripiombata nel tran tran. Ogni mattina all'alba arriva da via Paoli e via Macomer un plotoncino di signore cariche di buste di pane duro: lo sbriciolano e spargono a grandi manciate, riuscendo a trasformare la zona in un angolo di piazza San Marco. «Arrivano centinaia di piccioni, ormai le conoscono: ma più che Venezia sembra il set del film di Hitchock, gli Uccelli», racconta Cristina Trogu, titolare dell'edicola sul lato di via Macomer (quella che le radici degli alberi hanno sollevato da terra). Di sera piazza Garibaldi è invece il ritrovo preferito di una folta colonia di filippini. «Stanno per conto loro, giocano, ma si vede che è gente tranquilla», racconta Michela Mattana, mamma con la carrozzina che conosce però molto bene il posto dove mettere i piedi, visto che risiede in zona da quando è nata. «Qui se non sta attenta, una persona si storpia».
C'è rassegnazione tra chi ci abita e lavora. Il verduraio Bruno Pilia per esempio. Ha ereditato dal padre il negozio d'angolo, vende frutta e verdura da quarant'anni ed è testimone di come è cambiato il centro: «Delle famiglie di trent'anni fa non è rimasta nessuna». Complici spopolamento e crollo delle nascite, il Riva non brulica più di fiocchetti rosa. La crisi ha fatto il resto nelle vetrine: qui attorno -racconta Pilia - lavoravano quattro macellerie, due latterie, tre generi alimentari. Al loro posto in due anni hanno aperto tre negozi di telefonini e quattro di «Compro Oro». Nobiltà e miseria, le due facce di piazza Garibaldi rimasta esclusa dagli interventi che il Comune ha realizzato da altre parti. Per rimediare al ritardo l'amministrazione Zedda sta pensando a un concorso di idee, una volta ultimati i lavori al Riva. «Speriamo non ci mettano anche loro 20 anni», commentano a radio-panchina. (a.m.)