Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

E il terzo giorno la protezione civile funziona

Fonte: La Nuova Sardegna
27 ottobre 2008

DOMENICA, 26 OTTOBRE 2008

Pagina 5 - Sardegna

di Alessandra Sallemi


Cessato l’allarme affiorano le carenze e la disorganizzazione degli enti preposti




CAGLIARI. Un’autocolonna dell’Esercito ieri mattina ha portato cucine da campo e gruppi elettrogeni tra Frutti d’Oro e San Girolamo, l’Asl 8 ha finito di installare 50 bagni chimici, si lavora per ripristinare la condotta idrica di Frutti d’Oro autogestita dal condominio, si progetta di riparare le fogne, si fa la guardia alle case prese di mira dai ladri. Ieri nei dieci chilometri spazzati dall’alluvione s’è vista la macchina della protezione civile. La prima volta in tre giorni dalla mattina dell’alluvione. A emergenza finita bisognerà chiarire qualcosa: gli uomini hanno dato il cuore, l’apparato, invece, è parso confuso.
In questi giorni si è scoperto che Capoterra, area ad elevato rischio idrogeologico, nonostante due alluvioni recenti continua a non avere un piano suo di protezione civile che è una previsione sulla carta delle calamità possibili, uno studio dell’organizzazione necessaria e un collaudo dell’efficienza del sistema. Poi è saltata fuori una carenza che non sembrava così importante: Stato e Regione non hanno rapporti chiari su come dialogare e agire insieme (in caso di calamità) essendo uno il garante del sistema dei soccorsi e l’altra l’entità di riferimento per la protezione civile. La famosa cerniera di cui ha parlato la direzione generale del dipartimento di protezione civile di Roma: una censura che, è bene precisarlo ancora, non riguardava gli operatori in campo, che hanno saputo raggiungere il teatro del disastro in modo tempestivo, hanno lavorato incessantemente per salvare vite umane (a decine) e poi fare qualunque cosa servisse. Il punto è che nelle due previsioni considerate dalla protezione civile sarda, vale a dire gli incendi e il rischio idrogeologico, subito dopo il disastro, oltre agli uomini, servono mezzi e azioni concordate in modo tempestivo. Nel triangolo Capoterra, San Girolamo e Frutti d’Oro il giorno dopo l’alluvione gli uomini lavoravano con volontà e abnegazione, ma potevano far poco di sostanziale (se non togliere l’acqua dalle case) senza escavatori, mezzi per trasportare carcasse di vario genere, discariche prontamente autorizzate per conferire quanto il fiume aveva trascinato. Il giorno dopo l’alluvione gli abitanti di San Girolamo mangiavano quel che erano riusciti a trovare nel supermercato, chi aveva avuto la possibilità di raggiungerlo. Si vestivano con abiti comprati con soldi prestati, chi l’aveva potuto fare. Sgombravano le case a mani nude, spalavano il fango con le scope o con l’unica vanga, «prima» usata per curare il giardino. I gruppi elettrogeni sarebbero serviti almeno giovedì 23, il giorno dopo, e invece sono arrivati solo ieri. A livello nazionale c’è Bertolaso, il capo: non c’è un Bertolaso regionale, ma soprattutto non c’è la task force oliata che sta dietro il capo. La task force s’è vista ieri: «In due giorni si sono fatti grandi passi», commentava un operatore del Com, il centro operativo misto, che aveva ragione sulla qualità del lavoro di ieri. Ma un altro diceva: «Oggi siamo andati bene, ma tutto questo doveva esserci già il giorno dopo».
La frizione tra Regione e Stato venerdì notte ha fatto scintille: l’apparato di sicurezza che circondava la diga di Poggio dei Pini rovinata sui fianchi dall’alluvione, quindi svuotata in parte e ancora a rischio di rottura in caso di piogge forti, aveva chiesto che venissero evacuate le case lungo il percorso dell’acqua. L’ordinanza, un pezzo di carta, è stata tempestiva, ma le persone sono rimaste nelle case e addirittura in tanti sono andati a passeggiare sotto la diga. Il pericolo era ipotetico, gli ingegneri pensavano che la situazione fosse sotto controllo, ma qualcuno avrebbe preferito che si convincesse la gente a lasciar vuota la zona eventualmente pericolosa. «Non si poteva militarizzare l’evacuazione», diceva un operatore che ha passato questi giorni in mezzo alla gente di notte disposta a dormire altrove, ma di giorno decisa a raggiungere la propria casa devastata. Prudente la prima richiesta, ragionevole la seconda osservazione: il punto è che la protezione civile non è una sala dibattiti e una cosa, in particolare, sembra pericolosa e cioè la presenza di tante idee che non si amalgano rapidamente in una decisione univoca e chiara.