Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Quelle radiose giornate di autunno

Fonte: La Nuova Sardegna
21 ottobre 2008

MARTEDÌ, 21 OTTOBRE 2008

Pagina 37 - Cultura e Spettacoli



«Milano da bruciare!» del Cada Die all’Eliseo di Nuoro e Vetreria di Pirri



Dal 1969 al 1975, il racconto della rivolta sociale e studentesca

WALTER PORCEDDA

Claudio Varalli, Giannino Zibecchi, Piero Bruno... Ma anche Sergio Ramelli, Franco Grasso... Chi mai ricorderà questi nomi di ragazzi, vite spezzate a diciotto anni d’età. E di quell’anarchico, Giuseppe Pinelli, volato via dal quarto piano della questura meneghina, una fredda sera di dicembre del 1969, quattro giorni dopo la strage di piazza Fontana? Sembra un secolo, eppure è solo quaranta anni fa. Nomi e storie che rischiano di essere cancellati, inghiottiti nel vuoto pneumatico del tempo. Bisogna coltivare la memoria per sapere chi siamo. Quei nomi, per esempio. Dietro c’è una primavera italiana... Di quel maggio Sessantotto che in realtà nel Belpaese venne di autunno, un anno dopo. Nel Sessantanove. Ansie e speranze di cambiamento di una società grigia e inscatolata in vecchi schemi allora si incrociarono per accendere il fuoco di un incendio che poi divampò, forte, impetuoso nelle fabbriche e nelle scuole. Prima di tutto nella capitale del Nord. Poi nel resto del Paese. Roma, Napoli, Torino, Bologna, Cagliari, Sassari... Una stagione esaltante in cui si ridisegnò la storia. Quei giorni tornano come ferite, appena lenite dal tempo, nell’emozionante e coinvolgente allestimento del Cada Die, «Milano da bruciare!», di e con Giancarlo Biffi che in scena, in questa definitiva versione con la regia di Alessandro Lay - venerdì all’Eliseo di Nuoro e sabato alla Vetreria di Pirri per la «Sardegna dei teatri» - ne offre una interpretazione incalzante e partecipata.
In un’ora circa è straordinario come in questo pezzo di teatro sociale, con un attore solitario nel ruolo di teatrante-narratore, prendano corpo attimi di vissuto generazionale per scorrere davanti agli spettatori con la velocità di un film. Immagini in bianco e nero di un’epoca - dal 1969 al 1975 - dove l’amore ribelle per la libertà si accompagnava con quello della sete di giustizia. La voglia di un mondo senza differenze e di una scuola non autoritaria e aperta a tutti, si coniugava con l’idea di una società dove il lavoro fosse un valore. Da rispettare e tutelare. Così si riscopriva la politica. Nelle scuole e nei posti di lavoro. E soprattutto nelle piazze.
«Milano da bruciare!», vola quindi veloce su quegli anni di movimento, di grandi manifestazioni e di scontri in una piazza da conquistare. Le battaglie contro i fascisti e i golpe, striscianti e reali, la vigilanza democratica, ma anche le scaramucce a sinistra, il frazionismo esasperato, l’estremismo. E i morti, da quelli della legge Reale a quelli nelle piazze. Uccisi da pallotole vaganti o da cellulari usati come ariete. Militanti di sinistra diciottenni, come Varalli e Zibecchi e giovani di destra come Ramelli. Il protagonista di questo allestimento, un giovane che dalla periferia arriva a Milano, compie il viaggio di iniziazione nel mitico istituto «Molinari». Incontra i katanga della Statale e «quelli autonomi del Casoretto», vive i grandi raduni di Roma e Napoli. Epici momenti di una nuova resistenza, di un momento in cui la vita, come suggerisce la colonna sonora di «Milano da bruciare!» - dal Morricone di «Giù la testa» a «Tepepa» - di molti giovani era un lungo western. L’ultimo prima degli anni di piombo.