Ressa all'aeroporto per i saluti
Si capisce che la sua vita è quella, ha già detto che tornerà in Algeria. E l'ha sottolineato in modo subliminale dal balcone del Municipio di Samugheo, quando ha ricordato i popoli oppressi e chi è ancora prigioniero, mettendo da parte ogni vagito di protagonismo per dar spazio - nell'attesa dichiarazione pubblica fra la sua gente - non al suo dramma dei cui dettagli tutti sono famelici curiosi, ma a chi una voce non ce l'ha.
È già frastornata quando l'aereo dell'Alitalia tocca il suolo sardo, provata in mattinata da tre ore di interrogatorio con i magistrati, dal cordiale incontro col presidente della Repubblica, poi a Fiumicino dallo scambio di saluti col ministro Fornero e con D'Alema. «Sono stanca», sibila appena arriva a Elmas. Non può sottrarsi a una fuggevole dichiarazione di rito, il ringraziamento a «tutta l'Isola e a tutte le persone, le associazioni, le istituzioni che sono state vicino alla mia famiglia». Ci sono il governatore Cappellacci, i sindaci di Cagliari, Zedda, di Samugheo, Demelas, di Elmas, Piscedda, tutti con fascia tricolore, il presidente del Consiglio regionale Lombardo. Saluti privati, senza l'occhio delle telecamere. «Sì, sono stanca - ripete - ma voglio andare a casa a festeggiare».
A Cagliari la folla, oltre 200 persone, preme e rumoreggia. Da 45 minuti aspetta all'ingresso degli arrivi internazionali. Parenti, amici, gente comune. Cartelli, striscioni, palloncini, fiori. La banda musicale di Sestu, in divisa granata, scalda gli strumenti pronta ad attaccare “Dimonius”, l'inno della Brigata Sassari. I giornalisti asserragliati davanti alla porta scorrevole, microfoni e telecamere puntati, pronti a carpire una dichiarazione, una qualsiasi purché parli, una parola, una frase, un pensiero. L'aria condizionata è in tilt, l'attesa diventa sudaticcia, spuntano fazzoletti che asciugano fronti imperlate. Esce, non esce? Ogni tanto scattano applausi e grida ma sono falsi allarmi. Due carabinieri e un responsabile Sogaer provano a disciplinare la folla, inutili sforzi per una disorganizzazione annunciata.
Eccola, la minuta silohuette di Rossella compare - vestito nero, sandali infradito ai piedi, una catenina dorata - ed è braccata, soffocata dalle telecamere. Spaventata si ritrae, inghiottita dalla porta scorrevole. Ritorna cinque minuti dopo, risucchiata dal tripudio popolare, soffia ai microfoni un breve ringraziamento coperto dalle note della banda e, scortata da due militari, inseguita dai familiari, fende la folla che la chiama, la applaude, la tocca, la reclama in una improvvisata coreografia strapaesana che sembra l'arrivo di una tappa ciclistica. Poi s'imbuca nell'auto blu e vola via sulla 131, verso l'ultima tappa di questo tour di ringraziamento.
La Sardegna adesso la coccola, la premia con l'onorificenza regionale del Sardus Pater (prima donna a riceverla), si specchia nell'onestà dei suoi occhioni neri, ma per Rosella - donna di caparbia volontà che già guarda verso l'orizzonte africano - domani davvero è un altro giorno.
Sergio Naitza